11 settembre 2025

 

       La parola che non ti aspetti: SERVIRE      




“Sono al suo servizio.” Quante volte abbiamo pronunciato o sentito questa frase? Sembra una forma di cortesia, un gesto di umiltà. Eppure, dietro questa espressione innocua si nasconde una delle più grandi ambiguità del nostro linguaggio. “Servire” è una parola camaleontica, capace di assumere forme opposte: da un lato, nobile atto di cura e solidarietà; dall'altro, brutale e disumana logica di sfruttamento.

L'analisi di due visioni radicalmente diverse ci svela la doppia faccia di questo termine. Da una parte, quella oscura e predatoria, teorizzata da figure come il rabbino Ovadia Yosef. Dall'altra, quella luminosa e altruista, incarnata dalla visione di Papa Francesco e di Don Tonino Bello. È un contrasto così netto che quasi non sembra possibile che entrambe le visioni possano coesistere sotto lo stesso vocabolo.

1) Quando il servizio diventa sottomissione:

La visione del rabbino Ovadia Yosef è cruda e spietata. Per lui, i non-ebrei sono nati per un unico scopo: servire gli ebrei. Un'idea che non si limita a una semplice gerarchia sociale, ma che riduce l'esistenza di miliardi di persone a una funzione utilitaristica. “Lavoreranno, saranno aratro e si occuperanno della raccolta. Mentre noi ce ne staremo seduti come un Effendi a mangiare.” Una dichiarazione che non lascia spazio a interpretazioni: il servizio non è un atto di aiuto reciproco, ma una relazione di dominio e sfruttamento.

Il valore della vita dei non-ebrei viene esplicitamente equiparato a quello di un asino, un animale la cui longevità è misurata in base alla sua capacità di servire il padrone. Questa è una logica che Gilad Atzmon non esita a definire come una chiara dicotomia tra “razza padrona” e “forza lavoro”. È un disprezzo per il lavoro manuale, per la fatica, per l'umano in quanto tale. Atzmon suggerisce una correlazione diretta tra questo tipo di ideologia e le derive più aggressive del capitalismo, dove l'uomo non è un fine, ma un mero mezzo per la produzione e il profitto.

2) L'atto del prendersi cura:

Totalmente opposta è la visione di Papa Francesco. Riprendendo le parole di Don Tonino Bello, il Papa rovescia il concetto di servizio: “Chi non vive per servire non serve per vivere.” Qui, il servizio non è un'imposizione dall'alto, ma una scelta consapevole e disinteressata. È l'atto di “avere cura della fragilità” dell'altro, di difendere, assistere e onorare la dignità di ogni persona. Non si serve un'idea astratta o un'ideologia, ma persone in carne e ossa, con le loro storie e vulnerabilità.

Questa visione non ammette gerarchie di valore tra gli esseri umani. Al contrario, il servizio diventa la misura della grandezza di un popolo. La vera ricchezza non sta nel possedere o nel comandare, ma nel “servire la fragilità dei fratelli”.

L'inganno del servizio: la logica della confusione:

Ed è proprio qui che il termine "servizio" rivela tutta la sua pericolosità. Tra la visione di Yosef e quella di Papa Francesco non c'è una via di mezzo, ma un baratro. La confusione nasce dalla capacità del termine di mascherare intenzioni egoistiche e persino oppressive. Le fonti sottolineano che, nella pratica sociale, la versione dello sfruttamento è spesso quella che si nasconde dietro una facciata di benevolenza. Il “servizio che si serve degli altri” è la chiave di questo inganno. 

Questa ambiguità non è accidentale. È uno strumento potente per confondere le acque, per educare al servilismo, per farci accettare lo sfruttamento come efficienza e il dominio come leadership. Il vero servizio non è mai ideologico, perché non serve idee, ma persone. "

 “Il denaro è libertà, chi paga comanda…” disse Daniela Santanchè

E per capire quale tipo di “servizio” abbiamo adottato, basta osservare chi ne beneficia davvero.

Quale di queste due visioni predomina nella nostra società?

E tu, per cosa vivi?

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Fonti: