14 maggio 2024

L'Italia, fanalino di coda d'Europa

 

L'Italia, fanalino di coda d'Europa: stipendi da fame, precarietà dilagante e sorrisi di circostanza. Paese della cuccagna o terra di rassegnazione?

Manifestazione sindacale a Roma, 24 giugno 2023 (foto Mauro Scrobogna/LaPresse)

Mentre il resto d'Europa avanza, noi arretriamo in zona depressa. Un quadro desolante emerge dai recenti dati OCSE: salari reali nel nostro Paese sono gli unici ad essere diminuiti negli ultimi 30 anni, attestandosi a livelli persino inferiori a quelli del 1990Un calo del 2,90% che può apparentemente sembrare insignificante ma diviene catastrofico, se si considera che negli stessi anni l'Italia ha subito un aumento costante del costo della vita, con l'inflazione che ha eroso il potere d'acquisto delle famiglie. Eppure, strano a dirsi, non un mugugno, non una protesta. Sembra che la nostra indole "mansueta" si sia evoluta in una sorta di sottomissione masochista.

Il grafico qui sotto, non ha bisogno di commenti:

Retribuzioni in Europa

https://www.oecd.org/employment/Policy-Brief-Real-wages-regaining-some-of-the-lost-ground.pdf

Ah, l'Italia... un Paese che vanta una storia gloriosa, un patrimonio artistico inestimabile e una cucina che fa invidia al mondo. Peccato che, negli ultimi decenni, sembri aver imboccato la via del declino economico e sociale. Un declino così marcato che, per rendersene conto, bisogna fare un salto indietro nel tempo, fino agli anni '90.
Per chi avesse la memoria corta o per le nuove generazioni che non hanno avuto la fortuna di vivere in quegli anni vi ricordo che: C'è stato un tempo in cui l'Italia era un Paese prospero, dove gli stipendi permettevano una vita dignitosa e il futuro non era un tunnel buio cosparso di precarietà.

Nostalgia canaglia, direte voi? Forse. Ma i dati parlano chiaro.

Prendiamo, ad esempio, lo stipendio medio del 1990: 1.100.000 lire. Una cifra che, rapportata all'euro odierno, grazie a questo fantastico simulatore online

Sorpresa! Il valore è rimasto pressoché lo stesso. 

La tabella sottostante invece, indica il costo di alcuni beni essenziali e le retribuzioni di quegli anni:

ANNO

PAGA

TRAM

GIORN.

CAFFE

PANE

LATTE

VINO

PASTA

RISO

CARNE

ZUCCH

BENZ

1980

352.000

200

300

250

850

480

660

725

940

7.600

750

715

1985

608.000

500

650

400

1.200

780

900

980

1.150

11.000

960

1.329

1990

1,1 mil.

900

1.200

700

1.500

1.100

1.200

1.280

1.350

16.000

1.260

1.478

1995

1.3 mil.

1.000

1.400

1.300

3.800

1.750

1.800

1.480

1.520

20.000

1.710

1.875

2000

1.4 mil

1.400

1.500

1.400

4.500

2.000

2.000

1.800

1.800

25.000

1.900

2.000

2005

1.8 mil

1.700

1.936

1.936

5.500

2.800

3.800

2.200

2.300

34.000

2.500

2.800

Solo per fare due esempi:

Il prezzo medio di un chilo di pane nel 1990 era di 1.500 lire (0,77€), oggi è di 4,20 euro. Un aumento del 450% !

Un litro di benzina, nel 1990 costava 1.478 lire (0,76€), oggi costa 2,00 euro. Un aumento del 170%!

Fate due conti...

Rispetto al 1990, il potere di acquisto oggi si è ridotto quasi ad un terzo!


Questo spiega perché oggi, per una famiglia monoreddito, con una retribuzione normale, è impossibile far fronte alle spese. Oppure rende difficile, se non impensabile per un giovane lasciare l'abitazione dei genitori e andare vivere da solo.

Un paradosso inaccettabile, reso ancora più grottesco dai "maldestri" tentativi di salvataggio fatti dai governi degli ultimi trent'anni. Nel nome di un dio pagano chiamato "austerità", abbiamo sacrificato sull'altare del debito pubblico, non solo i nostri salari, ma anche i servizi essenziali che dovrebbero garantire una vita dignitosa ai cittadini.

Precarietà, precarietà, precarietà: ecco il mantra che scandisce il ritmo della vita lavorativa in Italia. Un'esplosione di contratti a termine, a chiamata, stagionali, cocopro, stage ecc... ha trasformato il panorama occupazionale in un campo minato di insicurezza e mancanza di tutele. Secondo l'ISTAT, nel 2023 la quota di lavoratori con contratto atipico ha raggiunto il 35,2%, la più alta in Europa. Un primato da brivido che ci dipinge come un paese immobile, incapace di evolversi e di offrire ai suoi cittadini un futuro stabile e sicuro.

Ma la precarietà non è l'unico male che affligge l'Italia. La disoccupazione regna sovrana, soprattutto tra i giovani under 35, che vedono i loro sogni infrangersi contro un muro di cemento armato fatto di mancanza di opportunità e di politiche del lavoro miopi. Un tasso di disoccupazione del 22,3% per questa fascia di popolazione è una ferita aperta che grida vendetta.

E mentre il lavoro scarseggia e la precarietà dilaga, l'economia arranca come un vecchio cavallo stanco. La crescita del PIL italiano langue, con un misero +0,4% nel primo trimestre del 2024, contro una media UE dell'1,2%. Le previsioni per il futuro non sono rosee, con gli esperti che paventano un nuovo periodo di stagnazione. Un quadro desolante che ci fa sprofondare ancora di più nel baratro della mediocrità.

E non è finita qui. A completare questo quadro apocalittico ci pensa l'inflazione, che, alimentata dalla crisi energetica e dalle tensioni geopolitiche, ha raggiunto livelli record in Italia, con un +8,0% ad aprile 2024. Un salasso per le famiglie, il cui potere d'acquisto viene eroso giorno dopo giorno, condannandole a una vita di stenti e sacrifici.

Che dire poi della povertà assoluta? Secondo l'ultimo report Caritas, in Italia ci sono 5,6 milioni di persone che vivono in questa condizione disumana, il 9,7% della popolazione. Un dato inaccettabile che ci fa vergognare di essere italiani.

Ma non basta. La sanità è al collasso, con ospedali sovraffollati, carenze di personale medico e infermieristico e liste d'attesa interminabili. Secondo il Censis, nel 2023 il 65% degli italiani ha dichiarato di non essere soddisfatto del servizio sanitario nazionale. Un sistema allo sbando che mette a rischio la salute di milioni di cittadini.

E per chiudere in bellezza, dobbiamo ricordarci dell'istruzione scolastica, che continua a arrancare nelle graduatorie internazionali. Secondo l'ultima rilevazione PISA, gli studenti italiani si posizionano al 15esimo posto su 38 in matematica e al 24esimo in lettura. Un risultato che non fa certo ben sperare per il futuro del paese.

L'Italia non merita questa deriva.

Possibile che per decenni i nostri politici si siano divertiti a giocare a "Monopoli", usando gli Italiani come pedine e come destino un dado truccato? 

Possibile che le loro “migliori” strategie economiche non abbiano fatto altro che farci sprofondare in un baratro di precarietà, disoccupazione, inflazione e povertà?

Qualcuno ha ancora il coraggio di farci credere alla favola dell'inevitabile sacrificio come conseguenza di un passato vissuto "al di sopra delle nostre possibilità"?

Davvero pensiamo che la nostra sia una punizione divina, un destino contro cui nulla possiamo fare? Oppure, come me, state iniziando a sospettare che ci sia qualcosa di marcio in questo sistema? Che forse, dietro la facciata di quella che spesso giustifichiamo come incompetenza e inefficienza, si nasconda qualcosa di più losco e malvagio? Un piano diabolico ordito da poteri occulti per farci sprofondare nella miseria e nell'oblio?

Negli anni '80, quelli della mia adolescenza, di fronte a una simile ingiustizia, la popolazione sarebbe esplosa in una catena di scioperi che avrebbe fatto tremare le fondamenta del Bel Paese. Oggi, invece, assistiamo ad una rassegnazione sconcertante. Come se ci fossimo convinti che la colpa sia nostra, che non meritiamo di meglio, che la nostra espiazione sia quella di sorbire calici amari in silenzio.

L'Italia affonda in un mare di letame e gli italiani se ne stanno lì, sorridenti e spensierati, come se nulla fosse. Caffè in mano, aperitivo come se non ci fosse un domani, immersi in una bolla di apatia collettiva che lascia perplessi e sconvolti. 

Ma cosa è cambiato?

Forse abbiamo perso la speranza? Decenni di instabilità politica, corruzione e promesse vane ci hanno resi cinici e disillusi. “Un futuro migliore? Un'illusione da ingenui. Meglio accontentarsi."

Forse siamo diventati egoisti? La frenesia consumistica e l'ossessione per il successo individuale hanno eroso il senso di comunità e solidarietà. Ognuno è arroccato nel suo piccolo mondo, indifferente alle sofferenze del prossimo?

Forse la tecnologia, che avrebbe dovuto connetterci e unirci, ha avuto l'effetto opposto, isolandoci e allontanandoci dalla realtà? Smartphone, social network, internet: ci immergiamo in un mondo virtuale fatto di immagini patinate, vite perfette e traguardi sbandierati. Ma è solo un'illusione. Dietro lo schermo si nasconde la dura realtà: un Paese che soffre, un'economia che arranca, una società sempre più diseguale.

Forse è la paura di uscire dalla confort zone? Chiunque ama le sue abitudini, le sue tradizioni, la sua stabilità. E' umano essere diffidenti verso il cambiamento, restii ad abbandonare ciò che conosciamo per avventurarci nell'ignoto.

Forse abbiamo perso la memoria? Abbiamo dimenticato le lotte dei nostri padri, le conquiste sociali, il sacrificio di chi ha combattuto per un'Italia migliore. 

Un'Italia che migliore lo è stata davvero, e che potrebbe tornare ad esserlo se solo lo volessimo!

Forse...forse...Troppo a lungo ci siamo cullati tra "forse" e "se", illudendoci che le cose cambino da sole. Ma la situazione è ben diversa: se non ci assumiamo la responsabilità del cambiamento, questo avverrà comunque, e nella stessa direzione negativa degli ultimi 30 anni.

Siamo stati ingannati, manipolati e traditi da una dottrina che sembra aver dimenticato completamente i bisogni fondamentali dell'essere umano. In questi ultimi 24 anni, abbiamo assistito al patetico spettacolo di 13 governi composti da coalizioni improbabili. Un'accozzaglia di gruppi dagli interessi contrastanti, uniti soltanto dall'ambizione di conquistare il potere.

Per abbandonare la Lira e introdurre l'euro, siamo stati illusi di poter "lavorare un giorno in meno e guadagnare come se lavorassimo un giorno in più"

perché gli italiani si bevono qualsiasi minchiata da sempre, basta promettere l'impossibile e venderlo come garantito... "

Solo per scoprire che le cose sono andate diversamente.

Intrappolati in un teatro dell'assurdo dove ogni giorno è una nuova "catastrofe naturale", assistiamo impotenti al crollo delle nostre finanze. Tra bollette astronomiche e salari da fame, le famiglie si aggrappano all'unica speranza rimasta: non ammalarsi.

Quante lacrime ancora dobbiamo versare, quante umiliazioni subire, prima di ammettere che, la nostra "repubblica democratica", privata della sovranità monetaria, si è trasformata in un parco giochi per oligarchi, dove i colossi industriali multinazionali e i mercati globali, sacrificano senza batter ciglio, lavoratori, animali e l'intero pianeta per placare la loro brama di potere?

Che dire poi del voto, un tempo strumento di espressione popolare, ora ridotto a rito inutile, a pantomima senza senso?

Neppure le coraggiose manifestazioni di piazza, sebbene siano un potente mezzo per dare voce alle istanze di cambiamento sociale, sembrano sortire gli effetti sperati.

È giunto il momento colpire il potere dove fa più male: il portafogli!

La vera arma contro chi comanda è il boicottaggio economico.

Il folle paradigma dello stato-azienda, edificato sulla logica del profitto, inevitabilmente crolla se ci rifiutiamo di sorreggerlo. 

Gli imperi economico-finanziari che dominano sulla nostra politica e decidono del nostro futuro, traggono la loro forza dai nostri consumi. Smettendo di comprare i loro prodotti o i loro servizi, li priviamo della linfa vitale che li alimenta.

Senza soldi il potere vacilla!



Per approfondimenti: https://confinilabili.blogspot.com/2024/04/il-potere-del-no-il-boicottaggio-come.html

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