27 aprile 2012

In Viaggio



Qualcosa  sibila dagli infissi, forse vuole entrare.
La sveglia segna le sei e trenta.
Mi alzo da letto, scosto le tende e osservo fuori attraverso il  vetro. Il mio riflesso traspare in primo piano, ma sono maggiormente  attratto dalle piante intorno a casa, che aggredite da un impetuoso vento di grecale, inevitabilmente s’inchinano dolenti.
Più in alto, a sovrastare le verdi colline, lentamente avanzano inquietanti cumuli di nero vapore, mentre avvinghiato ad un fortificato sperone di roccia, quieto giace il paese.
Incastonata nelle facciate degli aggrovigliati e variopinti edifici del borgo medievale,  qualche finestra s’illumina: “qualcun’ altro si alza presto” penso,  mentre la torre comunale svanisce diventando tutt’uno con il cielo. 
Non lascia presagire nulla di buono.


“ Che bella giornata per mettersi in viaggio, raffiche di vento e pioggia in arrivo” sussurro  “che poi, di cosa mi meraviglio, le previsioni meteo lo avevano detto…”. Ma dal momento che non posso prescindere l’impegno di lavoro, faccio colazione e mi preparo. Nel frattempo anche il resto della famiglia si desta: ”Buongiorno, visto il tempo?”.  “Eh...?” risponde mia figlia, ancora assopita tra le braccia di Morfeo. Ma ben presto la realtà si anima con la solita frenesia che accompagna l’inizio di una giornata: Tazze di tè che si rovesciano; ” Qualcuno ha visto lo zucchero?”; caffè fumanti che ustionano il palato; il dentifricio finito e la priorità di accesso al bagno.              ” Mamma! Dove hai messo la camicia” freme mia figlia, mentre l’autobus scolastico è alle porte e le chiavi dell’auto giocano a nascondino. L’agitazione è tangibile quanto le nubi di quel cielo torvo. Io nel frattempo  mi congedo con le solite raccomandazioni e saluto tutti.

Il furgone mi attende già carico sotto casa.  Per essere Aprile è ancora particolarmente freddo. Salgo a bordo e avvio il motore,  poi scendo per controllare l’impianto luci mentre l’abitacolo si riscalda. Tutto ok!
Si parte.


Dopo una serie di tortuose vie di campagna, sgomitando mi immetto sulla strada provinciale che, come al solito, a quest’ora è sempre trafficata in entrambe le direzioni di marcia. Procediamo lentamente ed i lampioni stradali si stanno progressivamente spegnendo  dal momento che sembra rischiarare.
In prossimità di un passaggio pedonale, una donna munita di carrellino porta-spesa, è in procinto di attraversare. Rallento e mi fermo per farla passare. Improvvisamente dallo specchio retrovisore un faro mi abbaglia. Realizzo che uno scooter mi sta sorpassando e istintivamente premo sul clacson. La donna trasale impaurita, si volta bruscamente e urla qualcosa al mio indirizzo, forse un insulto, poi si arresta impietrita. Nello stesso istante, una veloce sagoma scura, rumoreggiando ci oltrepassa e sparisce, come nulla fosse. Io e la donna ci guardiamo reciprocamente, condividendo in un identico fotogramma, lo scampato pericolo. Scendo dal veicolo e accompagno la signora dall’altro lato della strada con l’approvazione dei presenti, mentre dalla vicina fermata del bus, ci raggiunge un distinto signore che pare conoscerla. Rincuorato dalle circostanze favorevoli, salgo a bordo e mi rimetto in viaggio. Forse è passato un solo minuto, sessanta intensi secondi. “Ma dove cazzo andava quello! Cosa gli passava per la testa, che fossi un cretino fermo in mezzo alla strada?” mi sfogo. Ora sto meglio. Il problema è che anche chi vuole rispettare le regole, molte volte è messo in difficoltà nel farlo.


Il telepass si attiva con il suo inconfondibile beep. Sono al casello autostradale. Lo oltrepasso e imbocco la A12 direzione Genova. Contrariamente al caos del traffico cittadino, l’autostrada mi appare stranamente deserta. Un’interminabile e pericoloso serpente di cemento grigio. Ammetto che guidare non mi piace, inoltre questo tratto con le sue molteplici gallerie, viadotti e perenni cantieri in corso d’opera è piuttosto affaticante, ma è lavoro. Sono appena uscito da una galleria in prossimità di Bugnato, che accoglienza! Raffiche di vento e pioggia. Mi attende ciò che prospettavo.
Le gialle luci dei tunnel si succedono cadenzate, dipingendo caleidoscopiche immagini  sul parabrezza bagnato. Esco dalla galleria. La pioggia è diventata grandine e la nebbia avvolge il panorama nel suo impenetrabile manto.

<< Un giorno un maestro e il suo allievo andarono a fare una gita in montagna, tra la natura. Durante il percorso il giovane studente domandò :”Maestro come posso entrare nello zen?” ” Lo senti il suono di quel piccolo ruscello là in alto?” rispose il maestro “ Si!” disse l’allievo “ Allora entra nello zen da li.”>>

“Forse è il caso di ascoltare della musica” penso. Accendo l’autoradio e inserisco il cd.
Basta poco, qualche respiro profondo e prendo possesso del mio corpo. Le mani ben salde sul volante, la schiena eretta, comodamente appoggiata allo schienale. Mi concentro sul momento. Sono alla guida di un veicolo caldo e asciutto, ascolto la mia musica preferita e mi fa compagnia la natura, con le sue imprevedibili e meravigliose manifestazioni. L’asfalto, lucido di pioggia scorre come i chilometri sul tachimetro. Sono quasi arrivato a destinazione. Filamenti di nebbia si dissolvono, mentre sul mare si stagliano verticali colonne luminose; il sole reclama la sua presenza. Le nubi brontolando si diradano, aprendo varchi di celeste. Il maltempo mi abbandona allontanandosi dietro di me, forse ci rincontreremo, in un prossimo viaggio.
Fabrizio P.

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