06 ottobre 2025

 

Messaggio di Servizio:

L'Architettura della Servitù Digitale


Cari divergenti e complici involontari,
sia concesso il mio plauso al popolo italiano, per la notevole adesione alla causa palestinese. Ciò che si è visto non è stata una semplice manifestazione, ma un atto collettivo di coscienza. In un'epoca di indifferenza globalizzata, questa mobilitazione dimostra che i principi di giustizia e umanità possono ancora trovare un eco potente, diventando essi stessi un fatto politico di primo piano.

È tuttavia necessario esprimere cautela riguardo all'infodemia che sostiene la genesi spontanea di questi movimenti, “interamente nati e organizzati sui social network. L'idea che milioni di individui possano autodeterminarsi in un'azione di piazza senza un'eterodirezione è non solo ingenua, ma una palese violazione del protocollo di gestione collettiva. Un tale auspicabile "salto quantico di consapevolezza" infrangerebbe il firmware stesso del controllo sociale, definito oltre un secolo fa e trattato anche in Psicologia delle Folle (1895) di Gustave Le Bon:

I Pilastri del Controllo Collettivo (Secondo Le Bon).
Il successo di ogni evento di massa è sempre stato garantito da tre assiomi che i nostri sistemi di intelligence hanno elevato a legge:

  • L'Annientamento dell'Identità: L'individuo, immerso nella folla, subisce una de-personalizzazione psicologica, annullando la propria capacità di critica razionale in favore della mente collettiva
  • Il Contagio Emotivo: Le passioni non si discutono, ma si propagano per simulazione involontaria, agendo come un malware emotivo che bypassa il firewall logico.
  • La Suggestionabilità Acritica: La folla è intrinsecamente bisognosa di un "Capo" o di una "Idea-forza" che la guidi. Essa accetta il suggerimento senza la verifica del dato empirico.
Se il movimento fosse realmente nato senza che i webmaster abbiano precedentemente instradato e concesso il canale di comunicazione, significherebbe che la programmazione della coscienza di massa ha subito una falla critica. In quel caso, il sistema di controllo dovrebbe forzare un reboot strategico apocalittico.

Fino a prova contraria, stiamo solo ballando nella gabbia di Faraday che ci è stata permessa.

A scanso di ogni illusione, a mio avviso questa è la brutale verità: non esiste alcuno spazio più compromesso, analizzato e puntualmente manipolato dagli apparati di governance e dai loro algoritmi di controllo della rete che ora consultate. 

I social network non sono la piazza, ma la matrix di sorveglianza in cui siamo immersi.

Ogni singola interazione è un flusso dati assorbito dal sistema. Una marea indistinta di account e profili fasulli, troll e chatbot operano come una muffa cognitiva, infiltrando ogni thread e feed con precisione chirurgica. 
Il loro mandato non è solo il monitoraggio; è la lettura del polso emotivo dell'Umanità 2.0 per calibrare in tempo reale le strategie di contenimento e reindirizzamento.

Ogni iniziativa che celebriamo ingenuamente come "spontanea" o "dal basso" è, con probabilità statistica schiacciante, sottilmente eterodiretta e concessa dal sistema stesso.

Stiamo agendo all'interno di un perimetro i cui parametri sono definiti da altri. Le stesse proteste diventano merce, il dissenso si trasforma in dati e la rabbia viene monetizzata.

E mentre questo circo di illusioni si perfeziona, là fuori la realtà continua a sanguinare. Persone continuano a morire in guerre assurde, noi sprofondiamo in una povertà sempre più disperata, e la nostra frustrazione viene abilmente convertita nel carburante che alimenta la stessa macchina che ci sta stritolando.

Il primo passo per evadere è smettere di decorare la propria cella. Disconnettetevi. Studiate i meccanismi. La via d'uscita esiste, ma non la troverete nei social network.

Buona fortuna. Ne abbiamo bisogno, perché la prigione più efficace è quella i cui prigionieri non sanno di esserlo.

ORA SPEGNETE E INIZIATE A PENSARE.



03 ottobre 2025

1914 - 2025

 


1914 - 2025: L'Incubo è Tornato. Svegliati!

Stiamo vivendo il più pericoloso déjà-vu della storia. Come prima della Grande Guerra, il mondo è ubriaco di paura e paranoia. Allora, una scintilla nei Balcani bastò a incendiare l'Europa. Oggi, con 56 conflitti armati attivi – il numero più alto dal 1945 – le scintille sono già ovunque.




4 concetti semplici per decifrare il disordine mondiale:

1) Il Paradosso della Sicurezza:
"La Tua Difesa è la Mia Minaccia".

È la legge non scritta che governa l'isteria geopolitica odierna.

Immagina due uomini in una stanza buia. Uno accende una torcia per vedere meglio. L'altro, accecato e spaventato, accende un faro. Il primo, a sua volta, sentendosi minacciato da quel fascio di luce, punta un riflettore da stadio. Il risultato? Nessuno dei due vede meglio. Sono solo più accecati, più terrorizzati e con le mani sul grilletto, convinti che l'altro stia per attaccare.

Questa non è una metafora. È la meccanica della follia pre-bellica.

Stiamo rincorrendo la stessa ossessione che paralizzò l'Europa prima del 1914: l'ossessione della sicurezza assoluta, un fantasma che, una volta inseguito, garantisce solo insicurezza collettiva.

E oggi, questa follia non è più un fenomeno spontaneo. Ha un nome, un budget e una scadenza: ReArm Europe (Readiness 2030).

Non lasciarti ingannare dalla retorica rassicurante. ReArm Europe non è un "piano di difesa". È il più potente acceleratore per la corsa agli armamenti del XXI secolo. È l'ingranaggio perfetto, finanziato e istituzionalizzato, per ricreare le stesse condizioni del 1914:

A. Legittima la Paranoia: Quando un blocco si riarma apertamente, fornisce a ogni regime avversario, la prova definitiva delle sue peggiori paure. "Ve l'avevamo detto, ci vogliono distruggere".

B. Alimenta la Macchina della Guerra: I trilioni di euro stanziati non scompariranno. Troveranno un nemico. Perché un sistema costruito per il conflitto deve, per sua stessa natura, giustificare la propria esistenza trovando una guerra da combattere, reale o percepita.

C. Crea l'Inevitabilità Psicologica: Investire così tanto in un'unica direzione crea una trappola mentale: ci si convince che il conflitto non sia solo probabile, ma inevitabile. Si inizia a vedere la guerra non come un fallimento della politica, ma come il prossimo, logico capitolo.

2) L'Equilibrio del Terrore? Una Pazzia Chiamata MAD.

Abbiamo basato la sopravvivenza del genere umano su una teoria il cui nome, per ammissione universale, è "FOLLE". La Mutua Distruzione Assicurata (MAD) non è una strategia. È un patto blasfemo, una preghiera psicotica rivolta all'istinto di sopravvivenza: "Facciamo a gara a chi minaccia per primo un suicidio di specie."

Funziona finché tutti credono, con religioso terrore, che l'inferno nucleare sia un'opzione perdente per tutti. Ma il terrore non è pace. È solo una tregua armata, un silenzio inquieto pagato con la minaccia dell'olocausto. 

E in questo silenzio, le guerre convenzionali non sono cessate; hanno semplicemente cambiato palcoscenico, divampando impunite nell'ombra proiettata dalla bomba, sicure che nessuno osi alzare mai il livello oltre un certo limite.

Il terrore globale e stabile della Guerra Fredda è morto. Al suo posto è subentrato il "Rischio Calcolato".
Oggi, la deterrenza è stata smantellata da un'aritmetica perversa. Perché dovrebbe scattare la rappresaglia nucleare totale—l'apocalisse—se una potenza usa un'arma "tattica" (un ossimoro mostruoso) in un conflitto regionale? Contro un avversario senza atomica? Il calcolo non è più "annientamento certo", ma "quanto olocausto siamo disposti a tollerare?".

È la fine della deterrenza e l'inizio del ricatto nucleare strategico. Sta già accadendo. La minaccia di un'escalation limitata viene brandita per paralizzare la risposta occidentale, per mettere alla prova la solidità delle alleanze, per normalizzare l'impensabile. Il messaggio è chiaro: "Possiamo far esplodere un pezzo del vostro mondo, e voi non farete esplodere il nostro. Perché noi siamo più pazzi di voi."
La MAD non ci ha protetti. Ci ha solo consegnato un'arma puntata alla tempia, convincendoci che la mano sul grilletto sia troppo razionale per premere. Ma in un mondo di calcoli errati, di orgoglio ferito e di "armi tattiche", la follia non è più un acronimo. È un piano d'azione.

3) L'Interdipendenza: L'inganno dei mercati.

Ci hanno venduto una favola: che la globalizzazione, intrecciando le nostre economie, avrebbe reso la guerra “non conveniente sul piano commerciale”. Era una menzogna colossale.
Le oligarchie globali non hanno rinunciato la guerra. L'hanno soltanto privatizzata, finanziarizzata e resa asfissiante. Hanno smantellato il fronte militare per costruire un fronte sistemico parallelo, dove le armi non sono carri armati, ma controllo finanziario, energetico e logistico.
Oggi, un embargo ben congegnato può essere più letale di un bombardamento a tappeto.
Un bombardamento distrugge le infrastrutture. Un embargo dissangua un'intera nazione, ne paralizza la medicina, affama la sua popolazione, congela il suo futuro senza sparare un solo colpo. È una guerra al rallentatore, condotta da tecnocrati in giacca e cravatta i cui decreti uccidono più silenziosamente, ma non meno efficacemente, di una mitragliatrice.

Le sanzioni, i blocchi tecnologici, il ricatto energetico: questa è l’altra faccia della guerra del XXI secolo:

A. Sanzioni Finanziarie: Sono il moderno assedio medievale. Non servono più scale per varcare le mura; basta un click per escludere uno Stato dal sistema bancario globale, strangolandone l'economia fino al collasso.

B. Blocchi Tecnologici: E' l'embargo dello sviluppo. Privare una nazione di microchip non è diverso dal bloccarne le forniture di armi. È un atto di guerra che ne condanna il progresso all'obsolescenza.

C. Ricatto Energetico: La leva più potente. La dipendenza dal gas o dal petrolio altrui non è una scelta economica; è una vulnerabilità strategica che trasforma ogni bolletta in un possibile ultimatum.
Il dramma è che l’interdipendenza ci ha resi tutti ricattabili e vulnerabili.

Abbiamo costruito un mondo in cui il tuo fornitore può diventare il tuo boia con un semplice ordine esecutivo. La tua più grande forza si è rivelata la tua più grande debolezza.

4) Reificazione: L'arma finale che ci disarma la mente.

Il colpo di genio più micidiale del sistema non è un missile o una sanzione. È un incantesimo psicologico che trasforma la prigione in una casa, e le sbarre in colonne portanti.

Questo schema si chiama Reificazione.

In che cosa consiste questa trappola?

La Reificazione è il processo per cui prendiamo strutture create dall'uomo—il capitalismo, lo Stato-nazione, una politica estera—e, attraverso un'ipnosi collettiva, le eleviamo a leggi naturali. Smettiamo di vederle come il frutto mutevole di scelte, compromessi e accidenti storici. Iniziamo a credere che siano immutabili come la forza di gravità o il ciclo delle stagioni.
Perché è l'arma finale?
Perché non serve reprimere il dissenso quando puoi soffocare l'immaginazione.
Non serve dire "è vietato pensare un'alternativa". Basta far sì che l'alternativa appaia ingenua, utopistica o semplicemente folle al buon senso comune.
Facciamo degli esempi concreti, tolti dal catechismo geopolitico contemporaneo:

"L'Italia è uno stato satellite degli USA." 
Non viene presentata come la risultante di scelte precise (i governi De Gasperi, l'adesione alla NATO, gli accordi bilaterali). Viene narrata come una condizione geologica. Un dato di fatto. Come dire "l'Italia è una penisola". E se è un dato di fatto, perché sprecare fiato a discuterne? Chi propone di rinegoziare quei patti non è un interlocutore politico, ma un illuso che vuole negare l'evidenza.

"Il riarmo è l'unica risposta possibile." La corsa agli armamenti non è più una strategia discutibile. Diventa una reazione istintiva e inevitabile come ritrarre la mano dal fuoco. Non si analizza, non si mette in discussione. Si esegue. È presentata non come una scelta, ma come un riflesso condizionato della sopravvivenza.

"Non ci sono alternative al mercato globale." L'attuale architettura economico-finanziaria non è vista come un modello tra tanti possibili, con i suoi enormi difetti. È l'unico orizzonte concepibile. Qualsiasi proposta di modificarne i principi fondamentali viene bollata come un ritorno alla preistoria.

Questo meccanismo uccide il cambiamento ancor prima che nasca.
È un'arma di distrazione di massa della coscienza critica. Mentre discutiamo entro i confini di questo recinto mentale diamo per scontato il recinto stesso. Non ci chiediamo chi l'ha costruito, perché è lì, e se non si possa, semplicemente, abbattere.

"Nulla può cambiare" non è una constatazione. È la più grande menzogna di tutte, perché è l'unica che, se creduta, si autoavvera.

L'Atto Finale:

Ci vogliono far credere che la salvezza sia conquistare il Palazzo d'Inverno, erigere barricate, imbracciare un fucile.
Si sbagliano.
L'atto veramente radicale, oggi, è disertare la narrazione.

È rifiutarsi di accettare come "naturale" l'architettura della propria prigione. È guardare il mostro negli occhi e sussurrare: "So cosa sei. Un artefatto e mi rifiuto di essere complice del tuo folle progetto!"

Non siamo sull'orlo dell'abisso.

Quella è una favola che ci raccontiamo per sentirci vittime passive di una tragedia già scritta. 

La verità è più cinica e più colpevole:
L'abisso lo stiamo già costruendo, mattone dopo mattone.
Ogni volta che accettiamo senza fiatare la retorica dell'"inevitabile" riarmo;
ogni volta che bolliamo come "ingenua" qualsiasi alternativa alla corsa agli armamenti;
ogni volta che ci convinciamo che le scelte di ieri siano le catene di oggi...
Per questo, in un'epoca di isteria collettiva, di urla di guerra e di canti di sirena che inneggiano alla sicurezza attraverso la distruzione, smettere di credere all'inevitabile È il primo, fondamentale, atto di RESISTENZA.

È il rifiuto di essere i manovali della nostra fossa comune.

Nessuna pace è possibile 
senza un disarmo integrale. 
Papa Francesco 


💬 Dite la vostra nei commenti.





22 settembre 2025

Un paese per vecchi

UN PAESE PER VECCHI


BLA BLA BLA... la solita litania.

Molti ormai non hanno più dubbi: il mondo sembra un film mal scritto, con una regia invisibile che gioca con le nostre vite. Le parole di Orwell risuonano più che mai: «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato».

Dietro le quinte, istituzioni come il Club Bilderberg, il World Economic Forum, il Club di Roma e la Fabian Society, oppure i grandi colossi finanziari, "The Big Three", BlackRock, The Vanguard Group e State Street Global Advisors, insieme sembrano orchestrare una sinfonia globale, dove ogni nota è studiata per mantenere l'ordine stabilito. Le teorie di Kalergi, pur se avvolte nel mistero, suggeriscono una visione del mondo dove l'unità è raggiunta attraverso l'omogeneizzazione.

In questo scenario, la realtà sembra piegarsi alle leggi del doppio pensiero: «La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L'ignoranza è forza». La verità è plasmata, adattata e imposta, mentre le masse, ignare o rassegnate, accettano una narrazione  distorta che le tiene sotto controllo.

Tra le ombre di questo controllo emerge una realtà ancora più tangibile legata a doppio filo con quanto sopra: la crisi della natalità. Non è un fenomeno casuale né un segreto, ma un capolavoro di auto-sabotaggio, dove le politiche, le abitudini e la cultura sociale sembrano intrecciarsi per ridurre silenziosamente le nuove generazioni. In Italia come altrove. Mentre chi osserva dietro il sipario sorride all’armonia fredda di questo disfacimento pianificato e apparentemente inevitabile.

E la rappresentanza politica? 
Uno specchio deformato del paese, che da anni blatera di voler sostenere la famiglia e invertire la tendenza. Una commedia recitata a memoria, dove le promesse sono aria fritta e i soldi—quelli veri—finiscono altrove, in circuiti invisibili, lontani dallo sguardo della gente.

«Ma cosa ci ha spinto, silenziosamente, a fare sempre meno figli?»

L’incertezza è diventata la norma. 
Come si può chiedere ai giovani di generare vita quando l’Italia, dopo la crisi del 2008, è ancora intrappolata nella precarietà economica? Con quali prospettive? In questa nazione dove il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 20% e con stipendi stagnanti, pianificare persino un mutuo diventa un’impresa ardua, figuriamoci sostenere un figlio, il cui costo medio—secondo Banca d’Italia—oscilla tra i 70.000 e i 170.000 euro fino al compimento dei 18 anni.

I servizi, poi, restano un lusso. 
Infatti le promesse politiche più brillanti raramente si traducono in azioni concrete. Solo il 25% dei bambini sotto i tre anni ha accesso a un asilo nido, molto sotto la media europea del 35% e infinitamente lontano dai livelli di paesi come Danimarca o Svezia, dove la copertura raggiunge il 70%. 
Senza la possibilità di conciliare lavoro e famiglia, la scelta ricade spesso sull’abbandono di una delle due sfere: il 20% delle donne italiane lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Che potrebbe essere un bene per lo sviluppo del bambino, ma che, senza un adeguato sostegno, grava pesantemente sul bilancio familiare. 

La priorità è il voto, non il futuro. 
Se la politica appare inefficace, è perché i suoi interessi guardano altrove. La demografia italiana è profondamente sbilanciata: con un’età media di 48,7 anni, l’attenzione politica si concentra inevitabilmente sulla fascia di popolazione che conta di più alle urne, gli over 50. 
Il risultato è che le risorse pubbliche vengono sempre più deviate verso i bisogni degli anziani, mentre crisi abitative, ingresso nel mondo del lavoro e istruzione restano in secondo piano. Non a caso, in Italia si spende più per le pensioni che per sanità e istruzione messe insieme.

Riduzione della forza lavoro: 
Meno nascite, meno lavoratori. Una verità lapalissiana che la politica finge di ignorare. Oppure ne cavalca l'onda con l'immigrazione?
Si sta costruendo, con metodica precisione, un paese per vecchi, dove la piramide anagrafica si è ribaltata diventando una clessidra che si svuota inesorabilmente. Meno braccia per produrre, meno menti per innovare, per non parlare della fuga dei cervelli: un suicidio economico annunciato che porta dritto a una perdita di competitività internazionale e alla necessità di assumere forza lavoro dall’estero.

Bene, abbiamo osservato le ragionevoli ragioni causali, permettetemi il gioco di parole,  ma oltre ogni aspetto, oltre le teorie più affascinanti e intriganti, la polis siamo noi.

Il calo dei figli non è soltanto la conseguenza di stipendi da fame o di asili quasi inesistenti; è la somma di milioni di scelte personali. 

È la scelta di una generazione che ha deciso, legittimamente, di privilegiare carriera, autorealizzazione, viaggi e un’illusione di liberta, rispetto a un progetto di genitorialità percepito come una palla al piede. 

Come scriveva Hannah Arendt: «L’uomo moderno ha trasformato la propria vita in un’impresa individuale, e con essa la città in uno specchio dei propri desideri».

Abbiamo inseguito il successo personale, la stabilità finanziaria e l’indipendenza. Non c’è nulla di male in questo: sono desideri, ambizioni naturali. Possiamo però ammettere che il Paese che abbiamo costruito rispecchia perfettamente le nostre priorità?

Le privatizzazioni crescono, e le strutture pubbliche divengono insufficienti. La sanità, una volta diritto universale, rischia di diventare un privilegio per pochi; la scuola, terreno di uguaglianza e speranza, può trasformarsi in un lusso solo per chi può permettersela. 

Ogni mancanza, ogni carenza, è la fotografia di un’Italia che ha scelto la competizione ammantandola di meritocrazia e la disoccupazione funzionale dipingendola come selezione naturale. Homini homo lupus e adesso paghiamo il prezzo di un tessuto sociale sempre più fragile e diseguale.

Se continuiamo a lungo questa china, non sarà più solo la demografia a soffrire: sarà l’anima stessa del Paese a vacillare. 

Come ammoniva Tocqueville, «La democrazia non è soltanto un sistema politico: è lo specchio delle scelte e delle abitudini del popolo».

La domanda, allora, non è più perché la politica non abbia invertito la rotta, ma se davvero, in fondo, lo abbiamo mai voluto.

Lascio a voi il compito di confutare queste mie provocazioni. Scrivete nei commenti. 

Un abbraccio.



18 settembre 2025

Come si Fabbrica il Consenso

 

Come si Fabbrica il Consenso.

Di solito non mi espongo in dichiarazioni allarmanti, ma francamente in questo momento storico, ve lo dico apertamente "sono preoccupato". L'attuale clima mediatico in Europa, che sembra spingere le popolazioni verso una preparazione bellica ingiustificata e inaccettabile, è un esempio eclatante di come il consenso non sia un'opinione spontanea, ma un prodotto attivamente fabbricato.

La guerra non è un'opzione. Punto.

L'Italia, per Costituzione, ripudia la guerra. Non come un'opzione secondaria, ma come principio assoluto.
E, cazzo, non dovrebbe nemmeno servire scriverlo in un testo fondamentale. Chi non è un folle con manie omicide sa bene che devastazione, violenza e sterminio non sono strumenti di politica estera, ma il fallimento totale dell'umanità. Vanno evitati. Punto.
Eppure, i media stanno lavorando incessantemente per farci credere il contrario. Stanno spostando la "finestra di Overton", normalizzando l'orrore, trasformando l'inevitabile in desiderabile. Vogliono che accettiamo l'idea che la guerra sia l'unica soluzione possibile, mascherando la propaganda dietro il giornalismo.

Questo video è l'antidoto. Proverò a mostrarti come smascherare questa manipolazione. È un manuale di resistenza intellettuale per non farsi trascinare in un baratro che l'articolo 11 della nostra Costituzione ha saggiamente voluto evitarci.




Ecco come il consenso viene fabbricato: 

Un Meccanismo Inesorabile

  1. La Neurobiopolitica (o Psicobiopolitica) come Strumento di Controllo Totale:

    • Il potere odierno non si accontenta di controllare il corpo (biopolitica), ma mira, con una precisione chirurgica, a dominare la psiche e la mente dell'individuo e delle masse.

    • Questo controllo è tanto più efficace quanto più è impalpabile e subliminale. Non si impone con la forza bruta, ma per seduzione: ti viene detto di fare qualcosa "per il tuo bene", "per la tua salute".

    • L'obiettivo finale è ridurre l'individuo a una "marionetta" inconsapevole, le cui azioni e pensieri sono guidati da un "inconscio digitale" plasmato al di sotto del livello di coscienza e razionalità. Non ti rendi conto di essere guidato.

  2. Il "Velo Virtuale" e il Bombardamento Informazionale:

    • La realtà digitale è un "velo virtuale", una "struttura psicotecnica" costruita per colonizzare la vista e l'udito, i sensi primari della conoscenza.

    • Il suo scopo non è informare, ma occultare le informazioni serie e scomode attraverso una "pletora di dati e informazioni" inutili, le cosiddette "cazzate" (bullshit).

    • Questo "bombardamento informazionale" distrae la psiche, impedisce la riflessione critica e riduce tutte le notizie a un semplice "statuto di merce", privandole di valore reale e impedendo di distinguere il vero dal falso.

  3. Gli "Stregoni" che Dirigono l'Epoca:

    • Dietro questa vasta architettura di manipolazione ci sono gli "stregoni": non sono figure mitologiche, ma grandi gruppi finanziari e corporazioni che detengono il potere in tutti i settori.

    • Sono loro che "impostano i macrofili" e i "colori della rete", decidendo quali informazioni e tendenze debbano circolare, dando l'indirizzo all'epoca. Questi soggetti si muovono in silenzio, influenzando e consigliando, e le notizie tendono a partire da queste organizzazioni ai vertici della struttura mediatica.

  4. La "Finestra di Overton" per Normalizzare l'Impensabile:

    • Il meccanismo più insidioso di questa "ingegneria sociale" è la "Finestra di Overton". Si tratta di una "tecnologia di persuasione occulta delle masse" che consente a qualsiasi idea, anche la più incredibile e inaccettabile, di diventare "normalità" e, infine, "legalizzata".

    • Il processo è graduale e sottile, come quello della "rana bollita" che non si accorge del lento aumento della temperatura fino alla lessatura. Attraverso sei stadi ("impensabile", "radicale", "accettabile", "sensata", "popolare", "legalizzata"), un tabù può essere infranto e reso socialmente accettabile.

    • I media giocano un ruolo decisivo, portando il dibattito "fino al cuore della società" per modificare la percezione del cittadino e fargli appropriare l'idea.

L'Importanza Cruciale di Conoscere Questi Meccanismi

È un dovere ineludibile e categorico conoscere e riconoscere questi meccanismi di manipolazione. Ignorarli significa condannarsi a essere soggetti passivi, plasmati a piacimento dal potere. Significa cedere la propria autonomia, la propria capacità di pensiero critico e di discernimento, rendendosi vulnerabili a qualsiasi agenda imposta, inclusa quella di preparare le popolazioni a un conflitto.

Per evitare di cadere preda della propaganda e delle sue conseguenze nefaste – che in questo contesto potrebbero significare la guerra – devi agire con massima urgenza e determinazione:

  • Studia e approfondisci: Solo avendo basi solide puoi ragionare autonomamente e riconoscere gli inganni. La fatica del concetto è necessaria; la lettura di libri è un antidoto all'immediatezza delle immagini.

  • Sospendi il giudizio: Non credere ciecamente a ciò che ti viene presentato. Distanzia-ti e rifletti prima di accettare qualsiasi informazione.

  • Sviluppa la tua visione del mondo: In un'epoca di confusione epistemologica, è difficile, ma devi sforzarti di costruire una tua prospettiva, non delegare il tuo pensiero.

  • Mantieni una cautela conoscitiva radicale: Non passare da un fideismo all'altro, non affidarti ciecamente a qualsiasi "esperto" o messaggio. Ogni informazione deve essere vagliata con spirito critico.

  • Ricomincia ad "annoiarti": In un mondo frenetico, la noia è il catalizzatore per la scoperta di "mondi dietro i mondi", stimolando la riflessione profonda.

  • Sviluppa "occhi nuovi e orecchie nuove": Devi imparare a cogliere i messaggi che vanno oltre la percezione comune e la narrazione dominante.

Solo così potrai costruire una realtà alternativa allo scenario distopico che ti viene imposto ed evitare di essere un numero nella prossima tragedia voluta da altri.

Un abbraccio


Se hai domande non esitare a scriverle nei commenti.





𝐈𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐨𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐆𝐚𝐳𝐚

 𝐈𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐨𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐆𝐚𝐳𝐚.

Con tutta la calma che mi è rimasta, trovo vergognoso che media e istituzioni solo oggi svegliati, come da un lungo, colpevole sonno, abbiano trovato il coraggio di dare al 𝐝𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚 𝐩𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐞𝐬𝐞 il suo vero nome.

Che tempismo, non c'è che dire! Arrivano proprio ora che gli ultimi disperati stanno scappando da Gaza City e che l'operazione di 𝐩𝐮𝐥𝐢𝐳𝐢𝐚 𝐞𝐭𝐧𝐢𝐜𝐚 è quasi completa.
Presto, la coraggiosa "𝐆𝐥𝐨𝐛𝐚𝐥 𝐒𝐮𝐦𝐮𝐝 𝐅𝐥𝐨𝐭𝐢𝐥𝐥𝐚 se mai gli verrà concesso di attraversare l'assedio, approderà su un lembo di terra desolata, ormai ridotta a un deserto sotto il controllo degli Israeliani.
Perciò a strage compiuta, dopo aver voltato la testa per mesi, anni, o aver sostenuto una narrazione giustificativa, politici, intellettuali, giornalisti e influencer corrotti, alzeranno la voce, fingendo sdegno. Diranno, con la solennità di chi si pulisce la coscienza, "E' stato un genocidio". Ma questa frase non sarà un'accusa, bensì una sordido tentativo di assoluzione. Un modo per dirsi: " Noi non siamo rimasti in silenzio". A quel punto la loro coscienza, lavata e sgrassata, potrà dormire sonni tranquilli.
Voglio che lo sappiate, 𝐍𝐎𝐈 𝐍𝐎𝐍 𝐃𝐈𝐌𝐄𝐍𝐓𝐈𝐂𝐇𝐈𝐀𝐌𝐎!
La memoria, in questo caso, non è solo un atto di giustizia, ma una necessità per non cadere nella trappola dell'ipocrisia. Non si può ignorare il passato, cancellare con un colpo di spugna anni di indifferenza, di censura e di accuse infondate.
Ricordiamo bene quando il desiderio di solidarietà con il popolo palestinese veniva represso, i cortei dispersi con la violenza, e la voce del dissenso tacciata di antisemitismo o di sostegno ad Hamas. Ricordiamo i manganelli e le accuse che zittivano chiunque osasse deviare dalla narrazione ufficiale.
E non dimentichiamo il caso di Francesca Albanese, la relatrice speciale dell'ONU, che per aver adempiuto al suo mandato e aver denunciato i crimini subiti dai palestinesi, è stata lei stessa oggetto di sanzioni. “𝐏𝐮𝐧𝐢𝐬𝐜𝐢𝐧𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐝𝐮𝐜𝐚𝐫𝐧𝐞 𝟏𝟎𝟎” con lo scopo di soffocare la verità, il dissenso e delegittimare chi ha il coraggio di dire le cose come stanno.
La loro "𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒" di oggi non è che il risultato di una situazione ormai troppo evidente per essere nascosta. Quindi la memoria resta, e con essa l'accusa.
Con un sardonico sorriso, mi chiedo se il dilagante cinismo sia sufficiente a sostenere il peso di questa ennesima, teatrale, sceneggiata di stato. E la parte peggiore? E’ una strategia che attraversa ogni colore politico. Non è una questione di destra o sinistra, ma un patto trasversale, una complicità diffusa.
Ricordiamolo quando saremo nuovamente chiamati alle urne.




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13 settembre 2025

Bloquons tout


In Francia è partita la mobilitazione “Bloquons tout” (“Blocchiamo tutto”), con proteste e scioperi diffusi


Che i francesi sappiano protestare è un dato di fatto. L'immagine di piazze piene e barricate incendiate ha un fascino innegabile. Ma prima di cadere preda di facili entusiasmi, bisogna considerare che queste proteste, pur efficaci mediaticamente, sono anche fragili. Come si è visto, lo Stato può rispondere con una forza imponente, reprimendo le manifestazioni con arresti, manganelli e gas lacrimogeni.

Lo slogan "Blocchiamo tutto" suona bene, ma resta un messaggio vuoto se non si traduce in qualcosa di più concreto. Scioperi, disobbedienza civile, insubordinazione fiscale? Staremo a vedere. Oppure, come hanno dimostrato i precedenti focolai di rivolta, è più probabile che passato il brivido del momento, si torni al lavoro, allo shopping… insomma a quelle stesse abitudini che, in fondo, continuano ad alimentare il sistema che si dice di voler combattere. 

Lo capisco, uscire dalla zona di comfort non è per tutti. È esaltante sventolare una bandiera e gridare tra folla, molto meno rifiutarsi di pagare le tasse, opporsi a leggi ingiuste, disertare o cambiare le proprie scelte di consumo. 

Apprezzo le manifestazioni di piazza, ma possono essere facilmente  infiltrate, strumentalizzate o usate come palcoscenico per dinamiche politiche che nulla hanno a che fare con la volontà popolare.

Come un film già visto, le telecamere si spegneranno, partirà la macchina del fango, gli slogan divisivi e la politica del governo, come sempre, cavalcherà l'onda retorica, della “strategia della distrazione” o del “problema - reazione - soluzione” per poi ribadire che in democrazia "l'unica risposta è il voto" e il ciclo si ripete all'infinito, in saecula saeculorum.

Ci hanno convinti che il dissenso abbia solo due strade: la piazza e le urne.

Ma, oltre alle due strade note, come diceva Gandhi, ne esiste un'altra talmente potente che viene spesso taciuta o addiridittura ridicolizzata quando se ne parla, ma contro cui, negli Stati Uniti, si sta già pensando di alzare uno scudo legislativo, come il disegno di legge H.R. 867, noto come IGO Anti-Boycott Act.

E perché questa fretta di metterci un freno? 

Perché il vero potere, quello che non può essere sedato con la forza o con i gas lacrimogeni, risiede nel boicottaggio.

Colpire il portafoglio di chi è al potere è l'unico modo per fargli davvero male.

Hanno paura di questa forza, e hanno ragione. Il boicottagio è l'unica rivoluzione che non possono manganellare.

Le vere trasformazioni non nascono da ondate di rabbia passeggere. Spesso sono nate dall’attivismo di una minoranza consapevole, fiera e risoluta, disposta a sacrificarsi per un bene comune.

Boicottare, pur essendo una forma nonviolenta, è estenuante: richiede tempo, rinunce, sacrifici e non è indenne da rischi. Il sistema risponderà e le conseguenze potrebbero essere drammatiche: perdita del lavoro, il blocco dei conti correnti, l'esclusione sociale e il crollo delle proprie sicurezze. Per questo, serve una comunità solidale, pronta a sostenersi a vicenda.

Ora ti chiedo, sei disposto a rinunciare ai tuoi privilegi e assumerti la responsabilità del cambiamento, oppure preferisci chiudere gli occhi dinnanzi alle storture e accettare lo status quo?

Scrivimi cosa ne pensi nei commenti e... 

non smettere mai di operare per un mondo migliore.