UN PAESE PER VECCHI
BLA BLA BLA... la solita litania.
Molti ormai non hanno più dubbi: il mondo sembra un film mal scritto, con una regia invisibile che gioca con le nostre vite. Le parole di Orwell risuonano più che mai: «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato».
Dietro le quinte, istituzioni come il Club Bilderberg, il World Economic Forum, il Club di Roma e la Fabian Society, oppure i grandi colossi finanziari, "The Big Three", BlackRock, The Vanguard Group e State Street Global Advisors, insieme sembrano orchestrare una sinfonia globale, dove ogni nota è studiata per mantenere l'ordine stabilito. Le teorie di Kalergi, pur se avvolte nel mistero, suggeriscono una visione del mondo dove l'unità è raggiunta attraverso l'omogeneizzazione.
In questo scenario, la realtà sembra piegarsi alle leggi del doppio pensiero: «La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L'ignoranza è forza». La verità è plasmata, adattata e imposta, mentre le masse, ignare o rassegnate, accettano una narrazione distorta che le tiene sotto controllo.
Tra le ombre di questo controllo emerge una realtà ancora più tangibile legata a doppio filo con quanto sopra: la crisi della natalità. Non è un fenomeno casuale né un segreto, ma un capolavoro di auto-sabotaggio, dove le politiche, le abitudini e la cultura sociale sembrano intrecciarsi per ridurre silenziosamente le nuove generazioni. In Italia come altrove. Mentre chi osserva dietro il sipario sorride all’armonia fredda di questo disfacimento pianificato e apparentemente inevitabile.
E la rappresentanza politica?
Uno specchio deformato del paese, che da anni blatera di voler sostenere la famiglia e invertire la tendenza. Una commedia recitata a memoria, dove le promesse sono aria fritta e i soldi—quelli veri—finiscono altrove, in circuiti invisibili, lontani dallo sguardo della gente.
«Ma cosa ci ha spinto, silenziosamente, a fare sempre meno figli?»
L’incertezza è diventata la norma.
Bene, abbiamo osservato le ragionevoli ragioni causali, permettetemi il gioco di parole, ma oltre ogni aspetto, oltre le teorie più affascinanti e intriganti, la polis siamo noi.
Il calo dei figli non è soltanto la conseguenza di stipendi da fame o di asili quasi inesistenti; è la somma di milioni di scelte personali.
Lascio a voi il compito di confutare queste mie provocazioni. Scrivete nei commenti.
Un abbraccio.
«Ma cosa ci ha spinto, silenziosamente, a fare sempre meno figli?»
L’incertezza è diventata la norma.
Come si può chiedere ai giovani di generare vita quando l’Italia, dopo la crisi del 2008, è ancora intrappolata nella precarietà economica? Con quali prospettive? In questa nazione dove il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 20% e con stipendi stagnanti, pianificare persino un mutuo diventa un’impresa ardua, figuriamoci sostenere un figlio, il cui costo medio—secondo Banca d’Italia—oscilla tra i 70.000 e i 170.000 euro fino al compimento dei 18 anni.
I servizi, poi, restano un lusso.
I servizi, poi, restano un lusso.
Infatti le promesse politiche più brillanti raramente si traducono in azioni concrete. Solo il 25% dei bambini sotto i tre anni ha accesso a un asilo nido, molto sotto la media europea del 35% e infinitamente lontano dai livelli di paesi come Danimarca o Svezia, dove la copertura raggiunge il 70%.
Senza la possibilità di conciliare lavoro e famiglia, la scelta ricade spesso sull’abbandono di una delle due sfere: il 20% delle donne italiane lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Che potrebbe essere un bene per lo sviluppo del bambino, ma che, senza un adeguato sostegno, grava pesantemente sul bilancio familiare.
La priorità è il voto, non il futuro.
La priorità è il voto, non il futuro.
Se la politica appare inefficace, è perché i suoi interessi guardano altrove. La demografia italiana è profondamente sbilanciata: con un’età media di 48,7 anni, l’attenzione politica si concentra inevitabilmente sulla fascia di popolazione che conta di più alle urne, gli over 50.
Il risultato è che le risorse pubbliche vengono sempre più deviate verso i bisogni degli anziani, mentre crisi abitative, ingresso nel mondo del lavoro e istruzione restano in secondo piano. Non a caso, in Italia si spende più per le pensioni che per sanità e istruzione messe insieme.
Riduzione della forza lavoro:
Meno nascite, meno lavoratori. Una verità lapalissiana che la politica finge di ignorare. Oppure ne cavalca l'onda con l'immigrazione?
Si sta costruendo, con metodica precisione, un paese per vecchi, dove la piramide anagrafica si è ribaltata diventando una clessidra che si svuota inesorabilmente. Meno braccia per produrre, meno menti per innovare, per non parlare della fuga dei cervelli: un suicidio economico annunciato che porta dritto a una perdita di competitività internazionale e alla necessità di assumere forza lavoro dall’estero.
Bene, abbiamo osservato le ragionevoli ragioni causali, permettetemi il gioco di parole, ma oltre ogni aspetto, oltre le teorie più affascinanti e intriganti, la polis siamo noi.
Il calo dei figli non è soltanto la conseguenza di stipendi da fame o di asili quasi inesistenti; è la somma di milioni di scelte personali.
È la scelta di una generazione che ha deciso, legittimamente, di privilegiare carriera, autorealizzazione, viaggi e un’illusione di liberta, rispetto a un progetto di genitorialità percepito come una palla al piede.
Come scriveva Hannah Arendt: «L’uomo moderno ha trasformato la propria vita in un’impresa individuale, e con essa la città in uno specchio dei propri desideri».
Abbiamo inseguito il successo personale, la stabilità finanziaria e l’indipendenza. Non c’è nulla di male in questo: sono desideri, ambizioni naturali. Possiamo però ammettere che il Paese che abbiamo costruito rispecchia perfettamente le nostre priorità?
Le privatizzazioni crescono, e le strutture pubbliche divengono insufficienti. La sanità, una volta diritto universale, rischia di diventare un privilegio per pochi; la scuola, terreno di uguaglianza e speranza, può trasformarsi in un lusso solo per chi può permettersela.
Ogni mancanza, ogni carenza, è la fotografia di un’Italia che ha scelto la competizione ammantandola di meritocrazia e la disoccupazione funzionale dipingendola come selezione naturale. Homini homo lupus e adesso paghiamo il prezzo di un tessuto sociale sempre più fragile e diseguale.
Se continuiamo a lungo questa china, non sarà più solo la demografia a soffrire: sarà l’anima stessa del Paese a vacillare.
Come ammoniva Tocqueville, «La democrazia non è soltanto un sistema politico: è lo specchio delle scelte e delle abitudini del popolo».
La domanda, allora, non è più perché la politica non abbia invertito la rotta, ma se davvero, in fondo, lo abbiamo mai voluto.
Lascio a voi il compito di confutare queste mie provocazioni. Scrivete nei commenti.
Un abbraccio.
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