05 gennaio 2025

Una Follia da Ricordare



Cinque Anni dopo il COVID-19: 
Una Follia da Ricordare

Chi di voi, leggendo o ascoltando certe notizie, ha mai sentito un fastidioso brivido lungo la schiena? Un allarme che attiva quella vocina diffidente che sibila: “Aspetta un attimo, qui c’è puzza di fregatura!”.

Quante volte, navigando nel mercenario mondo dell’informazione mainstream, avete notato come essa sia capace di adottare due facce, due morali, due bilance, in funzione degli interessi di turno?Prendiamo ad esempio la narrazione sui conflitti internazionali: un bombardamento è sempre da condannare, giusto? - No! Dipende da chi sgancia l’ordigno. Se è una potenza “amica”, l’azione diventa un “intervento chirurgico” “un’azione necessaria per la pace”. Ma se il dito sul grilletto appartiene a un “paese nemico”? Ecco servito il menù della vergogna: “aggressione brutale”, “crimini contro l’umanità”. Stesso sangue, stessa devastazione, ma raccontata con una retorica ben diversa, a seconda della bandiera.

E poi c’è la comunicazione asimmetrica che somiglia tanto a un pilota automatico. La “crisi climatica”, per citarne una. Quando le città vengono tragicamente sommerse dalle acque, è per via dell’azione antropica che ha sconvolto gli equilibri di madre natura: “Troppa anidride carbonica!”, dicono, bisogna “ridurre le emissioni di CO2 portandole a zero” (povere piante). Perché di quella città alluvionata nessuno racconta le responsabilità concrete? La cementificazione selvaggia che impermeabilizza i terreni; la mancata manutenzione del territorio; l’urbanizzazione sregolata che cancella boschi e canali naturali?

Ascolta la storia ecologista: “Tu, sì proprio tu! Usa meno plastica, e occhio all’impronta ambientale che lasci”, quasi ti vien voglia di controllare sotto le scarpe per vedere se hai pestato qualcosa di sgradevole. Certo che siamo preoccupati per la salute del nostro pianeta, ma che dire delle petroliere che riversano tonnellate di greggio in mare e fumi tossici nell’aria? In barba alla raccolta differenziata, esiste un continente di immondizia che galleggia nell’Oceano Pacifico,
il Great Pacific Garbage Patch ma si fa silenzio sul commercio alimentare trasformato in un self-service di pacchetti e vassoi plastici, sterili e scintillanti. Perché, diciamocelo, basterebbe assumere qualche dipendente e riportare il servizio al banco, con il cibo incartato nella vecchia, gloriosa carta gialla. Risolto il problema delle confezioni usa e getta e pure quello della disoccupazione.

Invece NO!, meglio far leva sui sensi di colpa e farti pagare il costo della transizione ecologica, mentre si tollerarono le azioni dei grandi colossi industriali che, nel nome del profitto, soffocano il pianeta con emissioni fuori controllo e attività che depauperano intere regioni alla ricerca spasmodica di risorse.

Alla fine, la responsabilità è sempre tua, della tua casa inefficiente e della tua vecchia e puzzolente Panda a benzina.

Una voce sola, una direzione sola. Due pesi, due misure. Tanto rumore per nulla.


Queste riflessioni vi suonano familiari? Si?

Vi propongo, allora, di intraprendere insieme un percorso: un esercizio di analisi critica e riflessione su uno degli eventi più controversi e globalmente impattanti degli ultimi anni: la “pandemia” da SARS-CoV-2. Non si tratta di un’indagine giudicante o definitiva sui fatti, un compito che, mentre sto scrivendo queste righe, è stato affidato a una commissione parlamentare d’inchiesta, ma piuttosto di un allenamento mentale. Lo scopo? Esplorare i retroscena della comunicazione di massa, comprendere quei meccanismi raffinati e spesso invisibili che hanno il potere di orientare il nostro pensiero, influenzando percezioni, paure e reazioni collettive.

Analizzeremo non solo come le informazioni siano state presentate, con quali toni, con narrazioni e ripetizioni martellanti, ma anche cosa sia stato omesso, quali voci siano state marginalizzate e come il linguaggio stesso abbia plasmato le nostre emozioni, tra allarmi e rassicurazioni. Sarà un viaggio tra simboli, parole chiave e strategie comunicative che, di fatto, hanno costruito una “realtà condivisa”, senza necessariamente passare attraverso il filtro della riflessione individuale. Perché saper riconoscere gli strumenti con cui il nostro pensiero viene indirizzato è la chiave per riprenderci quello spazio critico che, oggi più che mai, sembra smarrito.

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Durante la pandemia di COVID-19, la paura è stata la leva psicologica centrale che ha consentito alle istituzioni di orientare e regolare le vite delle persone. Il timore della malattia e della morte ha attivato un istinto primordiale: in situazioni di minaccia, il cervello umano tende a cercare la sicurezza e si aggrappa in cerca di protezione a quelle che, in quel momento, appaiono come figure autorevoli.

Questo processo psicologico è stato sfruttato con maestria dalle istituzioni, che, brandendo la retorica del "bene comune", si sono potute permettere di porre l’obbligo a misure restrittive e disposizioni sanitarie assurde, da manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5-TR).

Ad esempio, potevi bere il caffè al banco, ma non sederti. Poi la regola si invertiva: seduti sì, in piedi no. E guai se entrando in un supermercato si provasse a comprare il necessario per la scuola: alimentari sì, ma non i prodotti “non essenziali” come quaderni, giocattoli o vestiti, anche se erano sullo scaffale a pochi centimetri di distanza. A quanto pare, il virus si annidava tra le penne, ma risparmiava gli spaghetti.

E vogliamo parlare delle mascherine in spiaggia? Sdraiato sul lettino, abbronzarsi era concesso, ma attenzione a fare due passi verso l’acqua senza il prezioso pezzo di stoffa sul viso.

Oppure, c’era l’epica questione dei congiunti: ti era permesso vedere solo “affetti stabili”, una frase tanto vaga da sembrare uscita da una quartina di Nostradamus, che comunque erano obbligati a indossare la mascherina quando viaggiavano insieme in auto.

Capite? Roba da teatro dell’assurdo. E non voglio andare oltre.

Una vera e propria schizofrenia normativa, con restrizioni che cambiavano continuamente, lasciando la popolazione in un perenne stato di confusione e frustrazione.

Durante quel periodo, molti comportamenti collettivi sembrano aver seguito una dinamica quasi automatica. Prendiamo, ad esempio, l’adesione immediata all’uso delle mascherine, al distanziamento sociale e al rifiuto di qualsiasi informazione che si discostasse dalla narrativa dominante. Ci si è mai chiesti quanto fosse davvero frutto di consapevolezza e quanto, invece, di una paura generalizzata? Sembra che la paura del contagio abbia prevalso su ogni altra valutazione razionale, mentre chi osava sollevare dubbi rischiava di essere emarginato, sanzionato o accusato di irresponsabilità. Anche i comunicati istituzionali hanno giocato un ruolo cruciale in questo processo, la continua esposizione dei numeri dei contagi e delle vittime, unita alla reiterazione di scenari apocalittici, spesso palesemente falsi, hanno contribuito a costruire un clima di ansia costante. Questo ha spinto molte persone a seguire ciecamente le indicazioni delle autorità, accettando scelte politiche e sanitarie, per ben tre anni, senza una vera discussione collettiva: le regole venivano accettate senza troppe domande, non necessariamente perché ritenute razionali, ma perché si sperava che seguendole si sarebbe tornati presto alla normalità. Quanto di questa obbedienza è stato frutto di un vero ragionamento critico e quanto, invece, di un adattamento quasi istintivo?

La conoscenza rappresenta uno degli strumenti più potenti per proteggersi dai soprusi. L’ignoranza e l’incompetenza, infatti, sono spesso sfruttate per perpetrare prevaricazioni e violenze, non solo fisiche, ai danni dei più vulnerabili, tra cui spesso le donne.

La verità dunque, non è solo qualcosa da scoprire, ma un mezzo di autodifesa. Comprendere come le notizie influenzano le nostre percezioni e il nostro modo di pensare è il primo passo per sfuggire le manipolazioni e diventare cittadini più consapevoli, critici e informati.


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Non credo di essere l’unico a sospettare che la pandemia da Covid 19 sia stata l’occasione per praticare un esperimento sociale pianificato da un'élite globalista, con l'obiettivo di testare la sottomissione della popolazione a un nuovo ordine mondiale tecnocratico. Lo dice esplicitamente il WEF.


Fonte: https://www.weforum.org/agenda/2022/09/my-carbon-an-approach-for-inclusive-and-sustainable-cities/


Traduzione:


Il nostro mondo si sta trasformando: grandi tendenze comunitarie per città sostenibili.


Negli ultimi cinque-sette anni ci sono stati sviluppi significativi sul fronte sociale, ambientale e tecnologico che potrebbero aiutare a realizzare le iniziative "My Carbon" per plasmare il futuro verso città intelligenti e sostenibili.

In particolare, per menzionare tre sviluppi in questo contesto:

1. Il COVID-19 è stato il test della responsabilità sociale: miliardi di cittadini in tutto il mondo hanno adottato un numero enorme di restrizioni inimmaginabili per la salute pubblica. Ci sono stati numerosi esempi a livello globale di mantenimento del distanziamento sociale, utilizzo di mascherine, vaccinazioni di massa e accettazione di applicazioni di tracciamento dei contatti per la salute pubblica, che hanno dimostrato il nucleo della responsabilità sociale individuale...

Le restrizioni imposte durante quel periodo, come il distanziamento sociale, il green-pass o le inoculazioni obbligatorie, sarebbero state una prova generale per un futuro in cui le libertà individuali saranno drasticamente limitate?


Ma continuiamo con la nostra analisi:

Come sarebbero andate le cose se, i sistemi di informazione non avessero omesso alcune informazioni importanti?


***

Lock Step

Maggio 2010

Nel 2012, la pandemia che il mondo aveva temuto per anni si verificò. Diversamente dall’H1N1 del 2009, questa nuova variante influenzale — originatasi da oche selvatiche — si rivelò estremamente virulenta e letale. Anche i paesi più preparati furono sopraffatti, poiché il virus si diffuse rapidamente, infettando quasi il 20% della popolazione mondiale e causando la morte di 8 milioni di persone in soli sette mesi, per lo più giovani adulti sani.

La pandemia colpì duramente le economie globali: la mobilità internazionale di persone e beni si fermò bruscamente, paralizzando settori come il turismo e interrompendo le catene di approvvigionamento globali. Anche a livello locale, negozi e uffici solitamente affollati rimasero vuoti per mesi.

Le conseguenze furono devastanti, in particolare in Africa, Sud-est asiatico e America Centrale, dove l'assenza di protocolli ufficiali permise al virus di diffondersi incontrollatamente. Anche nei paesi sviluppati il contenimento si dimostrò difficile, mentre politiche inizialmente deboli, come quella degli Stati Uniti che si limitò a “sconsigliare” i viaggi aerei, contribuirono a diffondere il virus oltre i confini.

Tuttavia, alcuni paesi reagirono meglio, tra cui la Cina, che impose rapidamente quarantene obbligatorie e sigillò ermeticamente le sue frontiere. Questo salvò milioni di vite e fermò la diffusione del virus molto prima rispetto ad altre nazioni, consentendo una ripresa più rapida.

Durante la pandemia, i leader nazionali di tutto il mondo aumentarono la propria autorità, imponendo regole e restrizioni rigorose, come l'uso obbligatorio di mascherine e il controllo della temperatura corporea per accedere a spazi comuni. Anche dopo la fine della pandemia, queste misure di controllo autoritario si mantennero e si intensificarono, con il pretesto di proteggere la popolazione da nuove crisi globali.

Inizialmente, molti accolsero con favore un mondo più controllato, accettando di rinunciare a parte della propria privacy e libertà in cambio di maggiore sicurezza e stabilità. Nei paesi sviluppati, ciò si tradusse nell’introduzione di identificazioni biometriche per tutti i cittadini e in una regolamentazione più stretta di settori chiave. Questa cooperazione forzata contribuì lentamente al ripristino dell'ordine e alla ripresa economica.

Nei paesi in via di sviluppo, l'effetto dell'autoritarismo fu più variabile, dipendendo dalla capacità e dalle intenzioni dei leader locali. Alcuni governi sfruttarono il potere accresciuto per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, mentre altri abusarono del proprio potere per interessi personali, causando instabilità e peggiorando la qualità della vita.

Nel frattempo, le regole più rigide nei paesi sviluppati inibirono l'innovazione e limitarono la creatività imprenditoriale. Gli scienziati furono spesso indirizzati verso progetti considerati “sicuri”, lasciando settori più rischiosi inesplorati. La protezione della proprietà intellettuale rallentò ulteriormente la diffusione delle innovazioni.

Entro il 2025, si manifestarono i primi segni di dissenso: proteste isolate divennero più organizzate, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove le disuguaglianze erano più evidenti. Nonostante il successo iniziale nel ripristinare ordine e sicurezza, il malcontento verso un controllo troppo stretto continuò a crescere, suggerendo che l'equilibrio costruito dai governi autoritari poteva essere presto scosso.

Vi suona familiare? Cosa pensereste se vi dicessi che quello che avete appena letto non è tratto da un’opera di fantasia, ma il risultato di una inchiesta che è stata pubblicata nel Maggio del 2010? Sembra impossibile, vero? Eppure, fa parte di un rapporto della Rockefeller Foundation e del Global Business Network intitolato“Scenarios for the Future of Technology and International Development”.


Attraverso un attento lavoro di interviste e ricerche approfondite, la fondazione aveva delineano quattro possibili scenari per il futuro della tecnologia e dello sviluppo internazionale:

Lock Step: Dominio di governi autoritari, controllo rigido e limitata innovazione.

Clever Together: Collaborazione globale per affrontare sfide planetarie come il cambiamento climatico.

Hack Attack: Un mondo instabile con governi deboli e criminalità diffusa.

Smart Scramble: Soluzioni locali e fai-da-te in un mondo economicamente depresso.

Il documento prefigurava una pandemia globale capace di paralizzare le economie mondiali e di spingere i governi a misure sempre più draconiane: Dalle restrizioni alla mobilità al controllo capillare della popolazione, passando per l'obbligo delle mascherine e l'introduzione del green pass.

Letto ai giorni nostri, l’ipotetica esposizione appare come un resoconto storico.

Come ha fatto un'esercitazione strategica del 2010 a prevedere con 10 anni di anticipo l'emergenza del SARS-CoV-2?

Un virus nato, stando alle prime ricostruzioni, da un pipistrello cinese, ma che ben presto ha suscitato sospetti su una possibile origine artificiale. Le indagini infatti condussero a un bio-laboratorio di Wuhan, dove si conducevano esperimenti di “gain-of-function” finanziati anche dal governo americano. Si era trattato di un agente patogeno ingegnerizzato sfuggito al controllo? Una fatalità o il tassello mancante di un puzzle ben più complesso? La narrazione di “Lock Step” ha forse influenzato le decisioni politiche e sociali, preparando il terreno, all’adozione di manovre che, in un certo senso, erano già state scritte? Dietro questa apparente coincidenza si nasconde forse un tentativo di controllo sociale su scala globale?

Ogni frase di quel rapporto sembra carica di un’intenzione che va oltre la mera immaginazione. “I cittadini cederanno volentieri la sovranità in cambio di stabilità”, si legge, e subito il pensiero corre alle cronache più recenti, dove paure e incertezze hanno spinto intere nazioni a sacrificare libertà fondamentali, come se fosse inevitabile, naturale, persino desiderabile.

E ancora, “il controllo autoritario resterà anche dopo la fine della crisi”: non un avvertimento, ma una conferma di ciò che oggi vediamo intorno a noi. Le misure temporanee diventano permanenti, la sorveglianza si trasforma in normalità, e ogni passo sembra ricalcare il percorso tracciato da quel documento.

A questo punto, diventa difficile ignorare la domanda che pulsa come un tamburo nella mente: perché?

Certo, potrebbe tutto ridursi a una fortunata, o allarmante, casualità, il frutto di una semplice analisi statistica che ha finito per centrare il bersaglio.

Ma a infittire l’ombra del sospetto c’è ben altro.

Nel 2019, qualche mese prima che gli effetti della malattia da COVID-19 sconvolgessero il mondo, due eventi hanno destato non poche perplessità tra gli osservatori più attenti:

1°) A gennaio di quell'anno, gli Stati Uniti lanciarono una massiccia simulazione di pandemia, denominata “Crimson Contagion”. L'esercitazione, coordinata dal Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, coinvolse numerose agenzie federali, statali e locali, con l'obiettivo di testare la risposta nazionale a una grave epidemia influenzale originatasi in Cina.





2°) Il 18 ottobre 2019, si è tenne a New York un altro evento di portata internazionale: “Event 201”. Organizzato dalla Johns Hopkins University e sostenuto dalla Fondazione Bill Gate questo convegno simulò l'emergenza di una nuova malattia respiratoria causata da un coronavirus. A posteriori la notizia fece notevole scalpore dato che l’allarme fu confermato pochi giorni dopo.


“Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova” scrisse Agatha Christie”

E se, come me, siete in cerca della verità, allora non possiamo ignorare ciò che questa incredibile convergenza ci sussurra all’orecchio. La domanda non è più se ci sia qualcosa di più grande dietro tutto questo, ma cosa ci stia realmente sfuggendo. Forse è tempo di aprire gli occhi, di sollevare il velo e porci le giuste domande, quelle che possono cambiare tutto.

Se ricordate bene, all’inizio della vicenda eravamo tutti tranquilli. L’esperienza dell’epidemia di SARS del 2003 aveva tracciato un limite, facendo aumentare significativamente la consapevolezza globale sull’importanza di essere preparati a fronteggiare future pandemie.

Anche l’Italia, come molti altri Paesi, aveva redatto un piano pandemico nazionale.

Immaginate questo piano come un manuale di emergenza da tirare fuori nei momenti critici. Le prime indicazioni erano semplici e dirette: isolare i malati, mantenere le distanze e lavarsi spesso le mani. Un po’ come le prime manovre da eseguire in caso di incidente stradale: proteggersi e proteggere gli altri. Il piano prevedeva anche una sorta di kit di pronto soccorso: un protocollo farmacologico che forniva linee guida chiare al personale medico, delineando le procedure da seguire e le terapie da somministrare, sempre sulla base delle evidenze scientifiche disponibili. Insomma, c’era un piano e sembravamo sicuri di essere pronti.

Molti personaggi pubblici, infatti, nel gennaio 2020, appena scoppiato il caso in Cina, apparirono alla ribalta mediatica per rassicurare la popolazione. Tra questi, il sindaco di Firenze Dario Nardella, che lanciò l’iniziativa con l’hashtag #Abbracciauncinese, accompagnata da un video sul suo profilo Facebook, invitando tutti a solidarizzare con la comunità cinese.

Anche il capo della protezione civile, Angelo Borrelli, in conferenza stampa si espresse in modo rassicurante:
“Mascherine obbligatorie in Lombardia? Io non la uso perché rispetto le distanze. È importante indossarla se non si rispettano le regole del distanziamento sociale.”

Ancora più esplicito fu l’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che, intervistato da Lilli Gruber il 20 gennaio 2020, dichiarò con fermezza:
“Siamo prontissimi, anzi, da questo punto di vista siamo un paese all’avanguardia rispetto agli altri: abbiamo adottato tutte le precauzioni possibili e immaginabili.”

Nella prima fase dell’emergenza e per molte settimane a seguire, dai vertici della politica e della sanità arrivarono dichiarazioni che scoraggiavano l’uso delle mascherine chirurgiche. Il 25 febbraio 2020, il Ministero della Salute scrisse:
“La mascherina non è necessaria per la popolazione generale in assenza di sintomi da malattie respiratorie.”
Il viceministro della salute Pierpaolo Sileri rincarò la dose, definendone l’utilizzo “una stupidaggine”.

Sempre il 25 febbraio, durante la sua prima uscita pubblica come consulente del ministro Speranza, il professor Walter Ricciardi, consigliere dell’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), spiegò con decisione che: “Le mascherine per le persone sane non servono a niente.”

Fino a febbraio 2020, il popolo italiano si sentiva sereno:

Ricordiamo ancora, ad esempio, Zingaretti durante un aperitivo pubblico sui Navigli tra abbracci e calici di prosecco. “Niente panico, isolare i focolai. Il governissimo? Non c'è la crisi”.

Scene di leggerezza, quasi di sfida, che oggi sembrano appartenere a un’altra era.

Perché preoccuparsi?
Il 2019 era stato un anno di simulazioni. Avevamo il piano, avevamo l’esperienza, avevamo la competenza. Ah! E ovviamente avevamo il servizio sanitario nazionale, una macchina perfettamente oliata pronta a rispondere a qualsiasi emergenza. “State tranquilli”, ci suggerivano, con pacata fermezza.

Ma poi, qualcosa cambiò. Si passò da un clima di apparente tranquillità a un’emergenza nazionale nel giro di poche settimane. Il Paese si ritrovò improvvisamente travolto da una situazione fuori controllo.

Le settimane successive furono segnate da un aumento vertiginoso dei contagi, con l’epicentro nelle regioni del Nord Italia, soprattutto in Lombardia ed Emilia-Romagna.

Le misure, all’inizio timide, divennero rapidamente più drastiche. Si passò dalla chiusura di scuole e università a quella delle attività commerciali non essenziali, culminando nel lockdown nazionale del 9 marzo 2020. Decisioni che solo pochi giorni prima sembravano impensabili e che segnarono una inversione di rotta brusca e drammatica.

“Cos’era successo davvero?”

Il comitato tecnico scientifico, incaricato dal governo di gestire l’emergenza, aveva forse preso una cantonata? I dati in loro possesso, insieme agli studi e alle ricerche eseguite, avevano portato a un modello sbagliato? La scienza, quella solida, incrollabile, forgiata su secoli di esperienza clinica, aveva clamorosamente fallito? Oppure è intervenuto qualcos’altro?

Domande scomode, certo, ma inevitabili. Perché quando tutto sembra crollare, la fiducia nelle decisioni prese e nei modelli adottati non può essere data per scontata.

Mentre il sistema sanitario crollava sotto il peso dell’emergenza – ospedali al collasso, terapie intensive sature e personale medico allo stremo – emerse in tutta la sua gravità la carenza di mascherine, guanti e dispositivi di protezione individuale (DPI).

Proprio quelle cose che, fino a poche settimane prima, erano state dichiarate “non necessarie” per la popolazione generale.

Ma ecco l’ironia: le stesse voci che avevano minimizzato l’importanza dei DPI, improvvisamente, cambiarono registro e proclamarono l’urgenza di ciò che prima era ritenuto superfluo.

Fatemi capire: “avevano mentito prima o stavano mentendo dopo?” Perché, delle due verità, l’una.

D’altronde, quando si espressero la prima volta sull’inutilità delle mascherine nei soggetti sani, vogliamo davvero credere che non sapessero quello che stavano dicendo? Siamo sicuri che, con quelle dichiarazioni volessero correre il rischio di gettare alle ortiche le loro onorate carriere? Sarebbe grave, certo. Ma se invece lo sapevano e hanno cambiato idea in corsa, o peggio ancora, perché indotti a farlo, allora la questione si fa ancora più inquietante.

Quindi, qual è la verità? Una decisione superficiale, un errore di valutazione colossale o un cambio di rotta pilotato? A questo punto, la fiducia crolla, e insieme a essa, ogni parvenza di credibilità.

A complicare ulteriormente il quadro, il sistema sanitario, pur diverso da regione a regione, si rivelò drammaticamente inadeguato a fronteggiare l’afflusso massiccio di pazienti COVID-19, o presunti tali. Già, perché persino l’efficacia dei test PCR (Polymerase Chain Reaction), utilizzati per rilevare i contagi, finì sotto la lente d’ingrandimento degli esperti sia a livello nazionale che internazionale.

E infatti, a più riprese, fu sollevato un dubbio cruciale: la PCR potrebbe aver restituito numeri dei contagi da SARS-CoV-2 molto più alti rispetto alla realtà.

Lo stesso concetto era stato espresso dal Presidente di Aifa, Giorgio Palù, che aveva chiarito: “Trovare un soggetto positivo alla PCR non significa che sia malato, né tantomeno contagioso.” Anzi, lo disse chiaramente: “Si è detto che i test non erano affidabili, ma neanche la PCR lo era. Nessuno l’ha mai validata, è nato un test senza un gold standard, fatto ex post.”

Dunque: sulla base di numeri discutibili e di una tecnica mai validata a dovere, abbiamo mandato in tilt un sistema sanitario già traballante? Se questa è stata la scienza applicata sul campo, c’è davvero da stare sereni.

Non solo posti letto insufficienti dunque, ma anche una gestione della crisi che fece emergere falle strutturali e organizzative.

“Si diceva che non vi fosse una cura” (mentendo).

Nell’attesa di una soluzione, che poi si rivelò essere un siero sperimentale prodotto in fretta e furia da quella stessa scienza che prima ci invitava ad “abbracciare un cinese” e poi, improvvisamente, non sembrava più sapere cosa fare, si trascurarono le terapie farmacologiche già conosciute e disponibili.

Si preferì invece adottare il protocollo della "tachipirina e vigile attesa", un approccio che, di fatto, prevedeva la somministrazione di paracetamolo per controllare la febbre e l’attesa passiva dell’evoluzione della malattia. Aspetta e spera, insomma. Ma se questa era la grande strategia sanitaria, forse qualcuno dovrebbe spiegarci perché e, soprattutto, a chi è servita davvero, dato che quella scelta sollevò non poche critiche, poiché ritardò interventi terapeutici più tempestivi e mirati, contribuendo in molti casi all’aggravamento delle condizioni dei pazienti.

Quando il vaccino a mRNA fece la sua comparsa, venne accolto come una svolta decisiva: eravamo finalmente salvi, ma a una condizione. Per raggiungere “l’immunità di gregge”, si diceva, era necessario vaccinare almeno il 70% della popolazione. “Se non ti vaccini, ti ammali e muori, oppure contagi e fai morire”, questo fu l’inquietante messaggio di Mario Draghi. E così, senza perdere tempo, partì la giostra dei famosi Vax Day e persino degli aperitivi con vaccino. Siringa in una mano, spritz nell’altra, perché niente si diceva “salva il mondo” meglio di una dose accompagnata da patatine e olive. Era l’evento mondano per eccellenza: ci si vaccinava, si scattavano selfie e si brindava alla fine della pandemia, o almeno, così ci avevano detto.

In quel clima di festa sanitaria, sembrava che il vaccino fosse la nuova moda dell’anno, più del pane fatto in casa durante il lockdown. Il messaggio era chiaro: il futuro era a portata di ago, e guai a chi osava mettere in discussione questa narrazione. Su questa scia venne costruito l’intero impianto del green-pass e introdotto l’obbligo vaccinale per gli over 50, presentati come strumenti indispensabili per proteggere la collettività e accelerare il ritorno alla normalità.

Ma un dettaglio fondamentale sembrò passare inosservato: nei fogli illustrativi dei vaccini era chiaramente indicato che il preparato non garantiva né la prevenzione dal contagio né quella della trasmissione. Una dichiarazione dell’ AIFA, per voce della dirigente Carla Cantelmo, cita: «Nessun vaccino Covid-19 approvato presenta l’indicazione “prevenzione della trasmissione dell’infezione dall’agente Sars cov-2”».

Come mai questa verità venne taciuta? Perché si continuarono a giustificare delle misure con presupposti che, almeno in parte, non trovavano conferma nei documenti ufficiali?”

Ma il quesito cruciale, che forse racchiude in sé anche un frammento di risposta, è: “come sarebbero andate le cose se certe informazioni fossero state rese di pubblico dominio fin dall’inizio?”

Interrogativi che meritano una riflessione approfondita:

Perché un Paese che si definiva “prontissimo” si è ritrovato così vulnerabile?

Perché la popolazione non è stata informata in modo tempestivo ed efficace?

E, soprattutto, quali errori, se tali, hanno trasformato un’emergenza in una crisi nazionale senza precedenti?

Le risposte ufficiali traballano sotto il peso dei fatti: governi colti di sorpresa, sistemi sanitari sull’orlo del collasso, ma rapporti come Lock Step, Crimson Contagion e Event 201 erano lì, ad anticipare ogni sviluppo. Era prevedibile, persino previsto. E allora perché? Perché gli avvertimenti e il piano pandemico, sebbene esistente, sono rimasti lettera morta?

Porsi le domande giuste rimane l’unica vera strategia per avvicinarsi a risposte significative.

“Chi ha tratto beneficio da quella crisi?” Seguiamo il denaro, come si dice. Grandi corporazioni cresciute a dismisura, nuove tecnologie adottate in tempi record, autorità consolidate sotto l’egida della sicurezza. “Ogni crisi è un’opportunità”, “ Andrà tutto bene!” dicevano, ma per chi? Per i milioni di persone che hanno perso il lavoro? Per le piccole imprese costrette a chiudere e che non hanno mai riaperto? Per il record italiano di decessi avuti? O per coloro che, nell’ombra, hanno accumulato ricchezze e potere?

“E se la manipolazione fosse stata parte del piano?” Qualcuno ha giocato con la paura, plagiando l'opinione pubblica per giustificare misure sempre più restrittive? È stata una reazione al caos o un pretesto per un controllo maggiore? Le cronache raccontano di strategie ben coordinate, di narrazioni che si ripetevano in modo quasi identico da un capo all’altro del pianeta. Non può essere solo una coincidenza.

In ultimo: “Quali sono le vere origini del virus stesso, il SARS-CoV-2:?” Un salto naturale, ci avevano detto, ma autorevoli studi alternativi raccontavano fatti molto diversi. Laboratori, fughe, manipolazioni genetiche: verità taciute o complotti immaginati?



Le cosiddette “ teorie del complotto”, a questo ultimo quesito, avranno conferma delle loro intuizioni solo il 5 Dicembre 2024:

Covid, la conferma della commissione Usa: “Virus fuggito dal laboratorio di Wuhan”
“Il virus del Covid è “scappato” con tutta probabilità da un laboratorio cinese dove si conducevano esperimenti scientifici pericolosi con fondi provenienti parzialmente dall'Istituto nazionale Usa. E precisamente dall'Istituto per le malattie infettive (Niaid) guidato da Anthony Fauci. È la conclusione ufficiale di due anni di indagini sull'origine del Sars-Cov2 responsabile della pandemia, condotte dall'apposita commissione della Camera americana.”

Fonte: Quotidiano la repubblica a cura di redazione Salute https://www.repubblica.it/salute/2024/12/05/news/covid_virus_laboratorio_di_wuhan_infezioni-423825137/

***

E infine, uno sguardo al futuro. Se il rapporto della Rockefeller Foundation con “Lock Step” ha colto nel segno, a quale altro tra gli scenari previsti ci stiamo avviando? Un mondo di governi fragili schiacciati dal disordine? Una società dominata da totalitarismi iper-tecnologici? O qualcosa di ancora più imprevedibile?

Simulazioni come Lock Step, Crimson Contagion e Event 201 si sono avverate per frutto del caso oppure racchiudono messaggi cifrati di un futuro che qualcuno preferirebbe non vedessimo mai chiaramente?

Spero vivamente che queste notizie vi abbiano incuriosito abbastanza, perché se abbiamo il coraggio di scavare più a fondo, ci accorgiamo che ogni bugia lascia dietro di sé una traccia, una scia di dettagli, di incongruenze.

Questo scritto non è altro che una mappa, ma una mappa incompleta. È un cammino che si snoda tra domande senza risposta, tra certezze che si sgretolano al primo tocco e rivelazioni che fanno vacillare tutto ciò che credevamo di sapere.

Ma il resto del percorso dipende da voi. Tocca a voi raccogliere i pezzi, seguire le intuizioni, far risuonare il vostro spirito critico contro il muro dell’omertà. Non accettate nulla per come vi viene presentato. Mettete in discussione tutto, ogni parola, ogni dato, ogni spiegazione , anche le mie.

Siate detective della verità. Camminate nell’ombra con gli occhi ben aperti. Costruitevi una vostra opinione, non quella che vogliono che abbiate. La verità non si mostra facilmente: va cercata, inseguita, pretesa. E se avrete la forza di proseguire, potreste scoprire che la mappa non conduce solo a risposte, ma a un mondo che, una volta visto, non potrete più ignorare.

***






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