Il Silenzio dei Giovani e la Fuga dei Cervelli:
Un Paese Che Si Auto-Sabota.
Al giorno d’oggi, i giovani sembrano sempre più lontani dalla politica, quasi come se fosse un mondo a loro estraneo, distante e privo di significato. I numeri parlano chiaro: solo il 17% delle persone tra i 14 e i 29 anni si interessa regolarmente di politica (Osservatorio Censis – Ital Communications, La Repubblica, 09/02/2023). Un dato allarmante, che testimonia una disillusione profonda e radicata.
Ma perché questo menefreghismo? Perché i giovani, un tempo ribelli e promotori di cambiamento, oggi si sentono così esclusi e disinteressati? 😕
Non pretendo di avere una risposta, troppe variabili in gioco. Ma quello che sento nell’aria è un’ondata di sfiducia generale verso istituzioni e partiti, e a dirla tutta, non senza motivo. Troppe promesse mancate, troppi giochi di potere fine a sé stessi. La classe politica, appare più impegnata a conservare la poltrona, che a risolvere i reali problemi del Paese. Questo alimenta un senso di estraneità e apatia, spingendo i giovani non solo a evitare l’impegno diretto, ma anche a guardare con crescente scetticismo ogni forma di attivismo.
- "Alla fine è tutto un magna-magna, tanto non cambia niente."
- "In questa melma ci sono immerso, tanto vale galleggiare."
- "Se il gioco è truccato, meglio fare il banco."
- " Non conta giocare bene, conta stare in cima"
Tutte queste frasi sono lo specchio di una generazione che ha già seppellito il sogno dei grandi ideali, ridotti ormai a favole buone per i libri di scuola. Per molti giovani, il mondo non è altro che un’arena spietata dove o mangi o sei mangiato, e chi si aggrappa ancora all’etica è solo uno che non ha capito come funziona il gioco.
Ma attenzione: lo scollamento non è solo una questione di mancata partecipazione. È la spia di un malessere più profondo, legato alla percezione di un’Italia che offre poche prospettive.
Sei studenti su dieci dichiarano di voler lasciare il Paese dopo il diploma in cerca di migliori opportunità lavorative, e il 17% ha già deciso di non fare mai ritorno (ricerca “Dopo il diploma” di Skuola.net ed Elis, Il Sole 24 Ore, 22/03/2023).
Un Paese che invecchia e si impoverisce:
Quando un giovane lascia il proprio Paese, non se ne va solo una persona: se ne va un investimento collettivo, anni di istruzione finanziata dallo Stato (cioè noi), e una ricchezza umana che andrà ad alimentare altre economie. È una perdita netta, una sconfitta dolorosa che, un'Italia divisa, da una parte sembra ignorare con incredibile leggerezza, dall'altra pare accettare con rassegnazione. La fuga dei cervelli non è solo un fenomeno migratorio: è il segnale di un sistema che penalizza il merito, che soffoca le ambizioni e che condanna le nuove generazioni a una precarietà infinita. Non si scappa solo per uno stipendio più alto, ma per la possibilità di essere valorizzati, per un ambiente che incentiva il talento invece di ostacolarlo con burocrazia e clientelismo.
L’OCSE, già nel 1997, distingueva tra “brain drain” (la fuga vera e propria), “brain exchange” (uno scambio equilibrato di capacità tra Paesi) e “brain waste” (lo spreco di competenze in lavori non adeguati alla formazione). L’Italia non solo soffre di un’emorragia costante, ma non riesce nemmeno a rientrare nel circuito virtuoso dello scambio di cervelli: il saldo è negativo, il talento se ne va e non torna.
Un diffuso sentimento di rassegnazione:
E qui torniamo alla politica, o meglio, alla sua assenza. La classe dirigente italiana ignora sistematicamente il problema, preferendo parlare di “mobilità” invece che di “fuga”. Un’ipocrisia che si traduce in numeri impietosi: per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi. “Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, ha spiegato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est.
A partire dagli anni ’90, l’emigrazione qualificata ha cominciato a erodere il capitale umano del Paese, colpendo in particolare il Nord, storicamente il motore economico dell’Italia.
Il risultato? Un Paese stanco, che perde capacità innovativa, che si condanna a un declino lento e inesorabile. La bilancia tecnologica dei pagamenti è in passivo, segno che l’Italia non solo esporta cervelli, ma poi deve riacquistare le conoscenze sviluppate all’estero dai propri stessi talenti. Una strategia suicida, che mette in ginocchio il futuro economico e sociale della nazione.
Un bivio esistenziale:
La questione non è più rinviabile. O l’Italia inverte la rotta, investendo seriamente in sviluppo, occupazione e salari adeguati oppure il declino sarà irreversibile. Servono politiche coraggiose, che premiano il valore e incentivano il rientro delle nostre brillanti menti, non misure ad minchiam e promesse vacue.
Troppo spesso sento criticare il comportamento giovanile, ma essi non sono indolenti, sono solo realisti. Hanno capito benissimo come funziona il gioco: chi nasce nel sistema è destinato a rimanerci intrappolato, a meno che non decida di diventare uno dei suoi ingranaggi. Ecco la verità: hanno visto che chi prova a cambiare le cose finisce solo per essere schiacciato, ignorato o cooptato dal potere. È più facile arrendersi all'idea che il sistema è troppo grande, troppo radicato per essere scalfito. Quindi, perché sprecarsi in lotte perse in partenza? Meglio sfruttare le proprie energie dove c'è qualcosa da guadagnare, anziché illudersi che una rivoluzione possa venire da un Paese che non sa nemmeno cosa voglia dire cambiare.
E se questo significa lasciare dietro sé famiglia, amici e tutto ciò che conoscono, poco importa. Preferiscono affrontare sacrifici, rischi e incertezze, piuttosto che restare intrappolati in una società che promuove la precarietà come norma.
Possiamo biasimarli quando non gli abbiamo fornito strumenti e visioni alternative?
La politica può continuare a fare finta di niente, ma la realtà non aspetta. O si cambia o si crepa. E l’Italia, oggi, non sta nemmeno morendo con dignità: sta marcendo a pezzi, soffocata dalla corruzione e dalla servitù volontaria ai padroni del mondo. Chi blatera di destino inevitabile dice solo stronzate.
Niente di ciò che l’uomo ha concepito è mai stato scritto nella pietra: è sempre e solo una questione di scelte. E spesso, di scelte di merda.
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