09 giugno 2025

Il Prezzo dell'Intelligenza

 



Il profumo di caffè aleggiava nell'aria, ma l'umore era denso come la nebbia mattutina. 

Luca, con i suoi occhi vispi e l'aria di chi macina pensieri a mille all'ora, tamburellava nervosamente le dita sul tavolo del bar. 

Di fronte a lui, Marta sorseggiava il suo cappuccino.

“Ti dico, Marta, c'è qualcosa che non mi torna,” esordì Luca, senza preamboli. “Tutti questi investimenti colossali nell'intelligenza artificiale, questo entusiasmo sfrenato per le sue potenzialità… Da bravo complottista, non riesco a non annusare l'inganno.”

Marta posò la tazza. “L'inganno, Luca? Daaai! Stiamo parlando di progresso, di efficienza, di strumenti che ci stanno già rivoluzionando la vita quotidiana e professionale.”

“Rivoluzione sì, ma per chi?
 replicò Luca, il tono sempre più accorato. “Oggi usiamo tutti questi strumenti AI più o meno gratuitamente. Miglioriamo, velocizziamo, siamo entusiasti di come ci aiutino a stare a galla in un mondo del lavoro sempre più competitivo... persino creando nuove opportunità... e chi non ne fa uso viene tagliato fuori. Ma ti sei mai chiesta perché ci vengono dati così a -cuore aperto-?”

Marta rifletté per un momento. “Intendi che c'è un secondo fine?”

“Esatto! Oggi siamo la forza lavoro gratuita che sta addestrando l'IA. Ogni nostra query, ogni nostro input, ogni correzione che facciamo, sta rendendo questi modelli più intelligenti, più precisi, più autonomi. È un immenso progetto di crowdsourcing cognitivo su scala globale!”

Luca si sporse in avanti, la voce più bassa, quasi cospiratoria. “E una volta che avremo finito il nostro -compito-? Una volta che l'IA avrà assorbito abbastanza conoscenza e processi da non aver più bisogno del nostro costante input per affinarsi, che succederà di tutti questi strumenti che oggi ci sembrano indispensabili?”

Marta sospirò quasi scocciata. " Uff... non vedo l’ora di saperlo." disse con ironia.

“Che il rubinetto si chiuderà, Marta. O meglio, che diventerà a pagamento. E non un abbonamento qualsiasi, ma un costo esorbitante, accessibile solo a pochi eletti, alle grandi corporazioni, a chi ha già i mezzi. Ti immagini? Quel piccolo copywriter freelance che oggi usa l'AI per superare il blocco dello scrittore, quel grafico che ottimizza le sue creazioni, il consulente che analizza dati complessi… domani potrebbero trovarsi esclusi”

Un silenzio pensieroso cadde tra loro. Fuori dalla finestra, la vita del centro città scorreva indifferente.

“Quindi,” riprese Marta, che adesso sembrava interessata, “secondo te saremmo stati -cornuti e mazziati-, come si dice volgarmente? Prima sfruttati per addestrare la macchina, e poi scartati e privati degli stessi strumenti che ci hanno permesso di sopravvivere in questo nuovo scenario lavorativo?”

Luca annuì lentamente, lo sguardo perso nel vuoto. “Temo proprio di sì. Ho visto troppe volte la storia ripetersi. Grandi investimenti portano a grandi profitti. E questi profitti, raramente, sono distribuiti equamente. La domanda è: siamo pronti anche a questo?”

***

Ma in tutta questa discussione sul futuro dell'intelligenza artificiale e sui possibili -inganni- amici, c'è un elemento che troppo spesso trascuriamo e che è, ironia della sorte, il più potente: noi stessi.
Siamo noi, con ogni click, ogni ricerca, ogni interazione con questi ausili apparentemente -gratuiti-, a decidere il corso del gioco.
È il vecchio adagio, mai così attuale: 
“quando è gratis, il prodotto sei tu”
Non stiamo pagando con denaro contante per usare Gemini, ChatGPT, o altri modelli di IA. Ma stiamo pagando con qualcosa di molto più prezioso: i nostri dati, le nostre preferenze, le nostre abitudini e, come abbiamo detto, il nostro contributo inconsapevole alla loro formazione.

Ogni volta che usiamo un servizio gratuito, stiamo fornendo un pezzo di noi stessi che viene analizzato, monetizzato, e usato per affinare algoritmi che a breve potrebbero sostituirci. Le nostre scelte individuali, moltiplicate per milioni di utenti, creano un immenso serbatoio di valore.
Allora, la vera domanda è:
Siamo consapevoli di questo scambio? 

Siamo disposti a continuare a pagare, con la nostra collaborazione, per un futuro in cui potremmo essere esclusi, o inizieremo a esigere maggiore trasparenza e un modello più equo per la fruizione di queste tecnologie?

  • Qual è la vostra opinione?
  • Questo scenario è pura fantascienza o una concreta possibilità?
  • Come possiamo prepararci?
Scrivetelo nei commenti.

Un saluto

06 giugno 2025

Sarzana: Il ponte sul Calcandola

Sarzana: Il ponte sul Calcandola


Cronaca di un'opera essenziale e
la rabbia dei residenti

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Introduzione: Un ponte, tante promesse infrante

La comunità di Sarzana, in particolare i residenti del quartiere Stadio e delle aree circostanti, si trova da tempo intrappolata in una vicenda protratta e frustrante: la ricostruzione del ponte di Via Falcinello sul torrente Calcandola.

Quella che era stata presentata come un'opera infrastrutturale vitale, con una data di completamento inizialmente fissata al 7 giugno 2025 1, si è trasformata in un simbolo di inefficienza amministrativa, ritardi persistenti e crescente malcontento. Questo rapporto, redatto dal punto di vista dei cittadini direttamente colpiti, si propone di documentare meticolosamente la cronologia degli eventi, evidenziare i profondi disagi quotidiani subiti, analizzare criticamente le giustificazioni fornite dall'amministrazione e fare luce sulla scottante questione delle polizze assicurative mai riscosse. L'insieme di questi elementi delinea un quadro di presunta malagestione degli affari pubblici.

Il ponte di Via Falcinello rappresenta un'arteria cruciale per la mobilità locale, collegando il quartiere Grisei al centro città e garantendo l'accesso a servizi essenziali come lo stadio Luperi, il cimitero e l'ospedale.2 La sua ricostruzione è stata inquadrata come parte di una più ampia "rivoluzione infrastrutturale" per il quartiere.1 L'opera si inserisce in un progetto infrastrutturale complessivo da oltre 6,5 milioni di euro, finanziato in gran parte da fondi regionali.4

La data del 7 giugno 2025 era stata indicata come termine per il completamento.1 Tuttavia, già a inizio giugno 2025, è stato esplicitamente dichiarato che tale scadenza non sarebbe stata rispettata.1 Fin dalle prime fasi, la cittadinanza ha espresso preoccupazioni sulla pianificazione e l'esecuzione dei lavori. Il "Comitato Sarzana, che botta!", ad esempio, aveva già sollecitato l'amministrazione nel 2020 a un uso più razionale dei fondi pubblici per la ristrutturazione del ponte di Via Falcinello, evidenziandone lo stato fatiscente.2 Questo precedente storico contribuisce all'attuale scetticismo dei cittadini.

Cronologia degli Eventi: Un Cantiere a Rilento

17 febbraio 2025

AI Vs Realtà

 Dagli schermi alla vita vera: l'AI ci spinge a riscoprire il valore dell'umanità



Cari amici lettori,

oggi voglio portarvi in un viaggio un po' controverso, esplorando l’intelligenza artificiale (AI) da una prospettiva diversa. Lo so, appena sentiamo parlare di AI, la mente corre subito a scenari distopici alla Terminator, con robot ribelli e macchine che spodestano l’umanità, oppure a incubi più concreti, come un futuro in cui gli algoritmi ci sottraggono il lavoro e prendono il controllo delle nostre vite. 

Ma se vi dicessi che l'AI potrebbe essere, invece, il grimaldello per una rivoluzione culturale?

Sì, avete letto bene. So che può sembrare assurdo, soprattutto in un’epoca in cui la tecnologia ci ha spinto sempre più dentro mondi virtuali, allontanandoci dal contatto fisico e riducendo le interazioni umane a chat, videochiamate e messaggi vocali. 

Tuttavia, e se fosse proprio l'intelligenza artificiale a darci una scossa, a ricordarci il valore insostituibile dell’empatia, della creatività e dell'amore?

La storia ci insegna che ogni grande innovazione porta con sé paura e scetticismo. Quando il telegrafo ha ridotto le distanze, qualcuno temeva che avremmo perso l’arte della scrittura. Quando la fotografia è nata, si diceva che avrebbe ucciso la pittura. Ma il genio e l'ispirazione non si sono estinte: ha trasformato quegli strumenti in nuove opportunità.

L’AI e la robotica, se usate con consapevolezza, potrebbero liberarci dalle attività ripetitive, permettendoci di dedicare più tempo a ciò che ci rende davvero umani: la convivialità, la conoscenza, la cura del rapporto con gli altri e dell'ambiente. Pensateci: se un’intelligenza artificiale può redigere un report in pochi secondi, forse avremo più tempo per un confronto sincero, in presenza, senza il filtro dello schermo.

Come diceva Albert Einstein, "La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre." Forse è tempo di smettere di vedere l’AI solo come una minaccia e iniziare a considerarla per quello che potrebbe diventare: un trampolino verso una società più equilibrata, più consapevole e, perché no, tornare ad essere più reale.

Curiosi di scoprire come? Continuate a leggere, perché il futuro non è scritto, ma possiamo scegliere come crearlo.

***

14 febbraio 2025

Il silenzio dei giovani.

 

Il Silenzio dei Giovani e la Fuga dei Cervelli: 
Un Paese Che Si Auto-Sabota.


Al giorno d’oggi, i giovani sembrano sempre più lontani dalla politica, quasi come se fosse un mondo a loro estraneo, distante e privo di significato. I numeri parlano chiaro: solo il 17% delle persone tra i 14 e i 29 anni si interessa regolarmente di politica (Osservatorio Censis – Ital Communications, La Repubblica, 09/02/2023). Un dato allarmante, che testimonia una disillusione profonda e radicata.

Ma perché questo menefreghismo? Perché i giovani, un tempo ribelli e promotori di cambiamento, oggi si sentono così esclusi e disinteressati? 😕

Non pretendo di avere una risposta, troppe variabili in gioco. Ma quello che sento nell’aria è un’ondata di sfiducia generale verso istituzioni e partiti, e a dirla tutta, non senza motivo. Troppe promesse mancate, troppi giochi di potere fine a sé stessi. La classe politica, appare più impegnata a conservare la poltrona, che a risolvere i reali problemi del Paese. Questo alimenta un senso di estraneità e apatia, spingendo i giovani non solo a evitare l’impegno diretto, ma anche a guardare con crescente scetticismo ogni forma di attivismo.
  • "Alla fine è tutto un magna-magna, tanto non cambia niente."
  • "In questa melma ci sono immerso, tanto vale galleggiare."
  • "Se il gioco è truccato, meglio fare il banco."
  • " Non conta giocare bene, conta stare in cima"
Tutte queste frasi sono lo specchio di una generazione che ha già seppellito il sogno dei grandi ideali, ridotti ormai a favole buone per i libri di scuola. Per molti giovani, il mondo non è altro che un’arena spietata dove o mangi o sei mangiato, e chi si aggrappa ancora all’etica è solo uno che non ha capito come funziona il gioco.

Ma attenzione: lo scollamento non è solo una questione di mancata partecipazione. È la spia di un malessere più profondo, legato alla percezione di un’Italia che offre poche prospettive. 

Sei studenti su dieci dichiarano di voler lasciare il Paese dopo il diploma in cerca di migliori opportunità lavorative, e il 17% ha già deciso di non fare mai ritorno (ricerca “Dopo il diploma” di Skuola.net ed Elis, Il Sole 24 Ore, 22/03/2023)

Un Paese che invecchia e si impoverisce:

Quando un giovane lascia il proprio Paese, non se ne va solo una persona: se ne va un investimento collettivo, anni di istruzione finanziata dallo Stato (cioè noi), e una ricchezza umana che andrà ad alimentare altre economie. È una perdita netta, una sconfitta dolorosa che, un'Italia divisa, da una parte sembra ignorare con incredibile leggerezza, dall'altra pare accettare con rassegnazione. La fuga dei cervelli non è solo un fenomeno migratorio: è il segnale di un sistema che penalizza il merito, che soffoca le ambizioni e che condanna le nuove generazioni a una precarietà infinita. Non si scappa solo per uno stipendio più alto, ma per la possibilità di essere valorizzati, per un ambiente che incentiva il talento invece di ostacolarlo con burocrazia e clientelismo.

L’OCSE, già nel 1997, distingueva tra “brain drain” (la fuga vera e propria), “brain exchange” (uno scambio equilibrato di capacità tra Paesi) e “brain waste” (lo spreco di competenze in lavori non adeguati alla formazione). L’Italia non solo soffre di un’emorragia costante, ma non riesce nemmeno a rientrare nel circuito virtuoso dello scambio di cervelli: il saldo è negativo, il talento se ne va e non torna.

Un diffuso sentimento di rassegnazione:

E qui torniamo alla politica, o meglio, alla sua assenza. La classe dirigente italiana ignora sistematicamente il problema, preferendo parlare di “mobilità” invece che di “fuga”. Un’ipocrisia che si traduce in numeri impietosi: per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Secondo uno studio 
presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi. “Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, ha spiegato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est.


A partire dagli anni ’90, l’emigrazione qualificata ha cominciato a erodere il capitale umano del Paese, colpendo in particolare il Nord, storicamente il motore economico dell’Italia.

Il risultato? Un Paese stanco, che perde capacità innovativa, che si condanna a un declino lento e inesorabile. La bilancia tecnologica dei pagamenti è in passivo, segno che l’Italia non solo esporta cervelli, ma poi deve riacquistare le conoscenze sviluppate all’estero dai propri stessi talenti. Una strategia suicida, che mette in ginocchio il futuro economico e sociale della nazione.

Un bivio esistenziale:
La questione non è più rinviabile. O l’Italia inverte la rotta, investendo seriamente in sviluppo, occupazione e salari adeguati oppure il declino sarà irreversibile. Servono politiche coraggiose, che premiano il valore e incentivano il rientro delle nostre brillanti menti, non misure ad minchiam e promesse vacue.

Troppo spesso sento criticare il comportamento giovanile, ma essi non sono indolenti, sono solo realisti. Hanno capito benissimo come funziona il gioco: chi nasce nel sistema è destinato a rimanerci intrappolato, a meno che non decida di diventare uno dei suoi ingranaggi. Ecco la verità: hanno visto che chi prova a cambiare le cose finisce solo per essere schiacciato, ignorato o cooptato dal potere. È più facile arrendersi all'idea che il sistema è troppo grande, troppo radicato per essere scalfito. Quindi, perché sprecarsi in lotte perse in partenza? Meglio sfruttare le proprie energie dove c'è qualcosa da guadagnare, anziché illudersi che una rivoluzione possa venire da un Paese che non sa nemmeno cosa voglia dire cambiare.
E se questo significa lasciare dietro sé famiglia, amici e tutto ciò che conoscono, poco importa. Preferiscono affrontare sacrifici, rischi e incertezze, piuttosto che restare intrappolati in una società che promuove la precarietà come norma. 

Possiamo biasimarli quando non gli abbiamo fornito strumenti e visioni alternative?  

La politica può continuare a fare finta di niente, ma la realtà non aspetta. O si cambia o si crepa. E l’Italia, oggi, non sta nemmeno morendo con dignità: sta marcendo a pezzi, soffocata dalla corruzione e dalla servitù volontaria ai padroni del mondo. Chi blatera di destino inevitabile dice solo stronzate.
Niente di ciò che l’uomo ha concepito è mai stato scritto nella pietra: è sempre e solo una questione di scelte. 
E spesso, di scelte di merda.

Non esitate a condividere le vostre storie e i vostri pensieri. Sarò felice di leggere i vostri commenti e di discuterne insieme.






11 febbraio 2025

Ipocrisia europea

 L’ipocrisia europea: 
distruggere per poi fingere di voler ricostruire.

Mario Draghi: 
“Propongo un cambiamento radicale”


Cari lettori, oggi voglio condividere con voi una riflessione sulle dichiarazioni di Mario Draghi alla High-Level Conference on the European Pillar of Social Rights (Bruxelles, 16 aprile 2024). 
Il testo integrale del suo intervento è disponibile al link qui sotto: 


Vi invito a leggere e a lasciare la vostra opinione nei commenti.

***
Per anni, l’Europa ha seguito con cieca determinazione una strategia autodistruttiva: "Abbiamo deliberatamente perseguito una strategia basata sul tentativo di ridurre i costi salariali l’uno rispetto all’altro, in aggiunta a una politica fiscale prociclica, con l’unico risultato di indebolire la nostra stessa domanda interna e minare il nostro modello sociale." Mario Draghi.

Il risultato? Un’industria sfibrata, delocalizzata, un modello sociale eroso e una dipendenza crescente dalle grandi potenze globali. Tutto questo non è stato un errore né una svista, ma un piano deliberato.
📢 Come ci hanno ridotti così?

08 febbraio 2025

Il futuro che ci aspetta

 

Il Futuro che ci aspetta è stato deciso nel 2016 ?



Viviamo in un’epoca di cambiamenti rapidi e trasformazioni radicali. Mentre il progresso tecnologico avanza a passi da gigante, emergono scenari che fino a poco tempo fa sembravano appartenere solo alla fantascienza.

Ma dove ci sta portando questa evoluzione?

Chi decide il nostro futuro?

Il Forum Economico Mondiale (WEF) ha delineato una visione del mondo per il vicino 2030 che solleva interrogativi cruciali: niente proprietà privata, niente privacy, tutto come servizio, reddito di base garantito e un sistema di credito sociale per controllare i cittadini.

Siamo davvero disposti a rinunciare alla libertà individuale in nome della sicurezza e della sostenibilità? O dietro queste promesse si nasconde un sistema di controllo globale?

Nel seguente articolo, pubblicato dal Mises Institute, viene analizzata questa prospettiva in modo critico, mettendo in discussione il futuro che potrebbe attenderci. Voi cosa ne pensate? Siete favorevoli o contrari a questa visione? Lasciate il vostro commento e discutiamone insieme!

Fonte: https://mises.org/mises-wire/no-privacy-no-property-world-2030-according-wef

05 gennaio 2025

Una Follia da Ricordare



Cinque Anni dopo il COVID-19: 
Una Follia da Ricordare

Chi di voi, leggendo o ascoltando certe notizie, ha mai sentito un fastidioso brivido lungo la schiena? Un allarme che attiva quella vocina diffidente che sibila: “Aspetta un attimo, qui c’è puzza di fregatura!”.

Quante volte, navigando nel mercenario mondo dell’informazione mainstream, avete notato come essa sia capace di adottare due facce, due morali, due bilance, in funzione degli interessi di turno?Prendiamo ad esempio la narrazione sui conflitti internazionali: un bombardamento è sempre da condannare, giusto? - No! Dipende da chi sgancia l’ordigno. Se è una potenza “amica”, l’azione diventa un “intervento chirurgico” “un’azione necessaria per la pace”. Ma se il dito sul grilletto appartiene a un “paese nemico”? Ecco servito il menù della vergogna: “aggressione brutale”, “crimini contro l’umanità”. Stesso sangue, stessa devastazione, ma raccontata con una retorica ben diversa, a seconda della bandiera.

E poi c’è la comunicazione asimmetrica che somiglia tanto a un pilota automatico. La “crisi climatica”, per citarne una. Quando le città vengono tragicamente sommerse dalle acque, è per via dell’azione antropica che ha sconvolto gli equilibri di madre natura: “Troppa anidride carbonica!”, dicono, bisogna “ridurre le emissioni di CO2 portandole a zero” (povere piante). Perché di quella città alluvionata nessuno racconta le responsabilità concrete? La cementificazione selvaggia che impermeabilizza i terreni; la mancata manutenzione del territorio; l’urbanizzazione sregolata che cancella boschi e canali naturali?

Ascolta la storia ecologista: “Tu, sì proprio tu! Usa meno plastica, e occhio all’impronta ambientale che lasci”, quasi ti vien voglia di controllare sotto le scarpe per vedere se hai pestato qualcosa di sgradevole. Certo che siamo preoccupati per la salute del nostro pianeta, ma che dire delle petroliere che riversano tonnellate di greggio in mare e fumi tossici nell’aria? In barba alla raccolta differenziata, esiste un continente di immondizia che galleggia nell’Oceano Pacifico,
il Great Pacific Garbage Patch ma si fa silenzio sul commercio alimentare trasformato in un self-service di pacchetti e vassoi plastici, sterili e scintillanti. Perché, diciamocelo, basterebbe assumere qualche dipendente e riportare il servizio al banco, con il cibo incartato nella vecchia, gloriosa carta gialla. Risolto il problema delle confezioni usa e getta e pure quello della disoccupazione.

Invece NO!, meglio far leva sui sensi di colpa e farti pagare il costo della transizione ecologica, mentre si tollerarono le azioni dei grandi colossi industriali che, nel nome del profitto, soffocano il pianeta con emissioni fuori controllo e attività che depauperano intere regioni alla ricerca spasmodica di risorse.

Alla fine, la responsabilità è sempre tua, della tua casa inefficiente e della tua vecchia e puzzolente Panda a benzina.

Una voce sola, una direzione sola. Due pesi, due misure. Tanto rumore per nulla.


Queste riflessioni vi suonano familiari? Si?

Vi propongo, allora, di intraprendere insieme un percorso: un esercizio di analisi critica e riflessione su uno degli eventi più controversi e globalmente impattanti degli ultimi anni: la “pandemia” da SARS-CoV-2. Non si tratta di un’indagine giudicante o definitiva sui fatti, un compito che, mentre sto scrivendo queste righe, è stato affidato a una commissione parlamentare d’inchiesta, ma piuttosto di un allenamento mentale. Lo scopo? Esplorare i retroscena della comunicazione di massa, comprendere quei meccanismi raffinati e spesso invisibili che hanno il potere di orientare il nostro pensiero, influenzando percezioni, paure e reazioni collettive.

Analizzeremo non solo come le informazioni siano state presentate, con quali toni, con narrazioni e ripetizioni martellanti, ma anche cosa sia stato omesso, quali voci siano state marginalizzate e come il linguaggio stesso abbia plasmato le nostre emozioni, tra allarmi e rassicurazioni. Sarà un viaggio tra simboli, parole chiave e strategie comunicative che, di fatto, hanno costruito una “realtà condivisa”, senza necessariamente passare attraverso il filtro della riflessione individuale. Perché saper riconoscere gli strumenti con cui il nostro pensiero viene indirizzato è la chiave per riprenderci quello spazio critico che, oggi più che mai, sembra smarrito.

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