Costituzione Italiana:
Il lato oscuro dell’articolo 1
A: “Anche oggi mi sono svegliato con un pensiero ostinato che continua a tormentarmi. Lo so, ne abbiamo già parlato, ma ti va di assecondarmi ancora un po’, giusto per rinfrescare la memoria?”
B: “E va beh! Sei davvero estenuante con le tue paranoie quotidiane… non so nemmeno come faccio ancora a sopportarti. Allora, cosa ti tormenta stavolta?”
A: “Continuo a fissare quella frase: -L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro-. Più la leggo, più mi sembra un monumentale raggiro.”
B: “Ti capisco. È l’asse portante del nostro modello sociale, quasi un comandamento. La dottrina giuridica ci spiega che fu il compromesso più alto tra le anime dei Costituenti: quella cattolico-sociale, quella liberale e quella marxista. Il ‘lavoro’ doveva essere il punto di sintesi, l'antitesi all'ozio aristocratico e alla speculazione. Doveva essere il titolo di cittadinanza.”
A: “Appunto! Un ‘titolo di cittadinanza’. E chi non ha un lavoro? Chi viene espulso dal ciclo produttivo perché non è abbastanza efficiente, troppo vecchio, o semplicemente perché un algoritmo ha preso il suo posto? L'Articolo 4 dice che il lavoro è un ‘diritto’. Ma se un diritto fondamentale non è esigibile, non è un diritto: è un privilegio concesso dal mercato.
B: “La Costituzione, però, ha previsto dei contrappesi. Ha cercato di ‘umanizzare’ l’impresa. Pensa all'Articolo 41: ‘L'iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana’. È un argine formidabile.”
A: Ma và là! Un argine che non è mai stato completato. La realtà, quella che viviamo nei tribunali del lavoro e nelle agenzie interinali, ci dice che la ‘dignità’ è quasi sempre subordinata all'utilità sociale, che a sua volta è stata fatta coincidere con la "competitività" e il "profitto".
Hai mai visto cosa accade quando un lavoratore invoca i suoi diritti contro le esigenze aziendali? Viene messo di fronte a una scelta: o accetti la compressione della libertà, o ti aspetta la disoccupazione. E torniamo al punto: il lavoro non è un diritto, è un ricatto.
Il secondo comma dell'Articolo 1, ‘La sovranità appartiene al popolo’, è svuotato di significato. Il popolo, nei luoghi di lavoro, non è sovrano. È suddito. Il contratto di lavoro subordinato, è definito dall'Articolo 2094 del Codice Civile come la messa a disposizione delle proprie energie -alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore-; è la negazione fattuale della democrazia.
B: “Stai descrivendo la tensione irrisolta tra democrazia politica e autocrazia economica. La Costituzione ha cercato di portare la democrazia dentro la fabbrica con l'Articolo 46, riconoscendo -il diritto dei lavoratori a collaborare... alla gestione delle aziende-.”
A: “L’ Articolo 46! È la norma più inattuata e vilipesa della Costituzione! È rimasta lettera morta, un sogno accademico. Invece di portare la democrazia nell'economia, abbiamo permesso all'economia di imporre le sue regole alla democrazia.
E guarda cosa è successo. Abbiamo perso la sovranità monetaria. Le decisioni cruciali non vengono prese dal ‘popolo sovrano’, ma da istituzioni tecnocratiche che rispondono a logiche di bilancio e stabilità dei mercati, non al benessere dei cittadini. L'Articolo 3, comma 2, che impegna la Repubblica a -rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale- per il -pieno sviluppo della persona umana-, è diventato un lusso che ‘non possiamo permetterci’ a causa dei vincoli di bilancio.
L'Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro; è un'oligarchia tecnocratica fondata sul debito.”
B: “È una visione spietata. Ma stai toccando il cuore del paradigma dominante. Abbiamo trasformato la persona umana in ‘capitale umano’. Un termine orribile. Lo misuriamo, lo valutiamo, lo deprezziamo. Se il tuo rendimento di mercato è basso, il tuo valore come persona si dissolve.
Questo crea una sofferenza esistenziale immensa. L'ansia da prestazione, la competizione che distrugge la solidarietà, la discriminazione verso chi non ‘rende’. E da qui, la guerra. Perché un sistema basato sulla produttività infinita in un mondo finito non può che essere predatorio. La guerra per le risorse è la continuazione dello sfruttamento del lavoro con altri mezzi.”
A: “Esatto. E tutto questo perché abbiamo messo la funzione (il lavoro) prima dell'essere (la persona). È un errore biologico prima ancora che giuridico. L'uomo non è un mezzo, è il fine.
E allora ti chiedo: cosa accadrebbe se riscrivessimo quel primo articolo? Se avessimo il coraggio di dire la verità sulla natura umana?”
B: “La verità sulla natura umana... Intendi quella spinta innata all'auto-realizzazione, alla connessione, a ciò che molti chiamano ‘natura animica’?”
A: “Proprio quella. Se chiedi a chiunque, in qualsiasi cultura, cosa desidera nel profondo, nessuno ti risponderà ‘un contratto a tempo indeterminato’. Ti risponderanno: ‘Essere felice. Essere amato. Essere visto. Essere libero’.”
E se l'Articolo 1 della costituzione recitasse:
-L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul benessere e sul valore incondizionato di ogni persona- cosa accadrebbe ?
B: “...un cambio di paradigma totale.”
A: “Si! Poniamo l’ individuo al centro. Pensa alle conseguenze. Se il fondamento è il ‘benessere’, allora l'obiettivo dello Stato non è più la ‘piena occupazione’, ma il ‘pieno sviluppo umano’. Il lavoro smette di essere lo scopo del vivere e diventa uno degli strumenti, e nemmeno il principale, per la realizzazione personale.
B: “Questo implicherebbe una ristrutturazione completa del patto sociale. Come funzionerebbe, nel concreto, una Repubblica fondata sul ‘valore incondizionato’?”
A: “Immaginiamola: Il primo pilastro sarebbe la Sicurezza Esistenziale. Invece dell'Articolo 4 (diritto al lavoro), avremmo un Diritto Universale alla Dignità (o Reddito di Esistenza). Non un sussidio legato alla disoccupazione (come l'attuale Art. 38 sulla previdenza), ma un diritto fondamentale legato alla nascita, come l'Articolo 2 (diritti inviolabili).
B: “Humm...separerebbe la sopravvivenza dal lavoro. Rivoluzionario. Il potere di ricatto del datore di lavoro svanirebbe. Trovare un’occupazione non sarebbe più una necessità, ma una scelta. Sceglieresti di lavorare non per pagare l'affitto, ma per partecipare, per creare, per contribuire al -progresso materiale o spirituale della società- (come cita l’ Art. 4).”
A: “Esattamente. Il ‘lavoro sottopagato’ e lo sfruttamento cesserebbero di esistere, perché nessuno sarebbe costretto ad accettarli. Il ‘lavoro’ verrebbe ridefinito: la cura dei figli, l'assistenza agli anziani, l'arte, la ricerca pura, la tutela dell'ambiente... tutto questo verrebbe riconosciuto come ‘lavoro’ che contribuisce al benessere collettivo, anche se non produce profitto di mercato.”
B: “E l'economia? L'Articolo 41 (iniziativa privata) verrebbe letto in modo radicalmente diverso. L'obiettivo non sarebbe più il profitto, ma la dignità e la realizzazione collettiva come fine primario, e l'iniziativa privata come strumento eventuale per raggiungerlo.”
A: “Misureremmo il successo della nazione non con il PIL, questo idolo della produzione, ma con indici di Benessere Equo e Sostenibile (BES). La finanza speculativa verrebbe disincentivata, mentre l'economia circolare e rigenerativa sarebbe la norma. La proprietà privata (Art. 42) vedrebbe la sua ‘funzione sociale’ diventare il suo unico fondamento: la speculazione immobiliare su beni primari come la casa o la terra sarebbe inconcepibile, perché in contrasto con il ‘benessere’ collettivo.”
B: “Questo modello richiederebbe una democrazia sostanziale. La sovranità popolare (Art. 1, Comma 2) dovrebbe estendersi alle decisioni economiche. La sovranità monetaria sarebbe essenziale per finanziare il benessere (sanità, istruzione) senza dipendere dai mercati finanziari. L'Articolo 46 (partecipazione dei lavoratori) non sarebbe più un'opzione, ma la base della produzione: co-gestione, imprese comunitarie, democrazia interna.”
A: “In questa società, la discriminazione perderebbe il suo terreno fertile. Se il tuo valore è ‘incondizionato’, non sei più giudicato per la tua produttività, il tuo genere, la tua origine o la tua abilità. Sei un fine, non un mezzo. E la guerra? L'Articolo 11 (L'Italia ripudia la guerra)? In una società composta da persone davvero appagate, la lotta per la sopravvivenza perderebbe ogni senso. Guerre e criminalità, prive del terreno fertile della sofferenza, verrebbero relegate ai margini e gestite con lucidità. Perché una persona soddisfatta non sente il bisogno di creare problemi agli altri.”
B: “È una visione... coerente. Sposta il fondamento dal fare all'essere. È una società che non chiede ‘Cosa fai?’, ma ‘Come stai?’.”
A: “Già, un’umanità che riconosce che siamo qui per fiorire, non solo per produrre. Che la conflittualità non nasce da una cattiveria innata, ma dalla paura indotta da un sistema basato sulla scarsità e sulla sottomissione. Se garantisci a tutti la nobiltà morale incondizionata, liberi l'enorme potenziale di cooperazione, generosità e creatività che è la vera essenza della nostra natura.
In fondo è semplice. Se chiedi a chiunque quale sia il suo desiderio più profondo, ti risponderà che desidera una vita piena di luce. Forse è giunto il momento di scrivere una Costituzione che accenda un riflettore sull’amore, e lo custodisca come un fuoco sacro.”
B: “Resta da capire se l’umanità, da millenni inchiodata a logiche di dominio e sopraffazione, sia davvero disposta a rinunciare ai privilegi conquistati attraverso secoli di conflitti. Noi, che abbiamo fatto della scalata alla vetta del potere la nostra ambizione primaria, noi che abbiamo interpretato il comando di ‘soggiogare la terra e dominare su ogni essere vivente’ (Genesi 1,28) come una licenza di egemonia e sfruttamento, sapremo mettere da parte quell’antico impulso?
Perché altrimenti il futuro che ci attende è simile a quello visto dai profeti: lo scatenarsi di una l’apocalisse umana, quella che abbiamo costruito con le nostre stesse mani.”
Voi cosa ne pensate?
Liberamente ispirato al pensiero dei seguenti autori:
Luciano Gallino: "Finanzcapitalismo" (2011)
David Graeber: "Bullshit Jobs" (2018)
Karl Marx: Analisi del "Capitale"
Serge Latouche: "Decrescita felice"



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