23 ottobre 2024

IL GRANDE INGANNO DELLA MERITOCRAZIA

 

Benvenuto nella Matrix del potere:

IL GRANDE INGANNO DELLA MERITOCRAZIA

Dall'alba dei tempi, le classi dominanti hanno sempre cercato di giustificare il loro dominio con le storie più disparate. Dalle monarchie per diritto divino, alle nazioni, passando per il mercantilismo, ogni epoca ha avuto il suo mito fondante. Ma dietro ogni incoraggiante mutazione, si celava sempre una realtà ben diversa: quella di un potere concentrato nelle mani di pochi, pronto a tutto pur di mantenere i propri privilegi.

Nel precedente post: Benvenuto nella Matrix del potere: LA VERITÀ CHE TI HANNO NASCOSTO, ho cercato di far notare come anche il modello democratico sia spesso manipolato a fini oligarchici.

Proseguiamo ora l'analisi concentrandoci su una recente frottola di legittimazione largamente diffusa:


La meritocrazia.

«La società senza classi sarà quella che avrà in sé e agirà secondo una pluralità di valori. Giacché se noi valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza e cultura, per la loro occupazione e il loro potere, ma anche per la loro bontà e il loro coraggio, per la loro fantasia e sensibilità, la loro amorevolezza e generosità, le classi non potrebbero più esistere. Chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, che il funzionario statale straordinariamente capace a guadagnare premi è superiore al camionista straordinariamente capace a far crescere le rose? La società senza classi sarà anche la società tollerante, in cui le differenze individuali verranno attivamente incoraggiate e non solo passivamente tollerate, in cui finalmente verrà dato il suo pieno significato alla dignità dell’uomo. Ogni essere umano avrà quindi uguali opportunità non di salire nel mondo alla luce di una qualche misura matematica, ma di sviluppare le sue particolari capacità per vivere una vita ricca.»

M. Young, The Rise of meritocracy, Transaction publisher, London(1994); tr. it.:L’avvento della meritocrazia,Edizioni di Comunutà, Roma 2014, pp. 193-194

Si dice che la storia si ripeta, ma a volte lo fa in modo davvero infido.

Ebbene sì, care amiche e cari amici, eravamo finalmente convinti che l'aver abbattuto le antiche mura dei castelli e detronizzato nobili e dittatori ci avrebbe liberati dalle catene della sudditanza.

Credevamo che, grazie alla lotta operaia, avremmo risolto il conflitto di classe tra servo e padrone e superato le disuguaglianze che affliggevano la società.

Speravamo che la conquista del voto e l’ideale di una democrazia in cui il potere appartenesse al popolo, illuminasse con una luce di speranza il buio del totalitarismo, ponendo termine ai conflitti mondiali.;

Invece ci siamo ritrovati ad accettare un nuovo ordine, altrettanto rigido e selettivo.


"C'è chi nasce per dominare e chi per servire. Affinché pochi siano ricchi, molti devono restare poveri. È un ordine naturale: il lusso non è per le masse, ma per chi lo merita."



Veramente avevamo ritenuto che i discendenti delle potenti famiglie reali che hanno comandato l’umanità attraverso i secoli, avrebbero rinunciato al loro imperare per abbracciare un ideale come la sovranità popolare? Non stupisce, quindi, che dal dopoguerra si siano riorganizzati per rivendicare ciò che considerano un loro legittimo patrimonio.

Infatti le vecchie strutture di potere, come un'idra mitologica, si sono rigenerate ma con un nuovo aspetto. Addio, dunque, alle cerimonie di corte, a duelli a colpi di spada e benvenuti nel mondo scintillante del capitalismo selvaggio, dei conti in banca a nove zeri, delle ville di lusso e degli yacht da sogno.

Ecco i nuovi idoli della moderna società dello spettacolo, sono gli “aristocratici del merito”.

Costoro, ci hanno promesso che con impegno e dedizione chiunque p raggiungere il successo. Così, armati di curriculum, attestati e titoli qualificanti, ci misuriamo gli uni contro gli altri, cercando di scalare la nuova torre di babele, in una sorta di selezione darwiniana dove sopravvivono solo i più adatti… O almeno così ci viene fatto credere, nascondendo spesso le disuguaglianze che condizionano le nostre possibilità.

Non fraintendetemi, non intendo affatto sminuire il valore del merito. L'idea che ognuno possa realizzarsi in base alle proprie capacità e al proprio impegno è fondamentale. Incoraggiare le persone a dare il meglio di sé è un principio che condivido pienamente.

Calato nell’agire quotidiano, è ovvio che dovendo scegliere un professionista a seconda delle nostre necessità, ne andremo a cercare uno all'altezza. Ma spesso la nostra scelta va oltre le semplici competenze: la fiducia, la sintonia e la capacità di instaurare un rapporto di collaborazione sono elementi altrettanto importanti.

Però, mentre il merito funziona egregiamente nei microcosmi, la meritocrazia si rivela come una pericolosa illusione quando applicata su scala sociale. Perché? Semplicemente perché la meritocrazia, così come viene spesso intesa, potrebbe essere una nuova forma di oppressione, mascherata da giustizia.



Proviamo a immaginare insieme:

In un futuro non troppo lontano, la vita umana è regolata da un complesso e avanzato algoritmo.

La società si è evoluta come in un alveare, in cui ciascuno è un ingranaggio spersonalizzato inserito in una macchina perfetta, dove nulla è lasciato al caso: ogni azione è calcolata, ogni pensiero sapientemente indotto. Le abilità creative, un tempo apprezzate come espressione della nostra unicità, sono state relegate a rango di passatempo. Viviamo in un mondo dove l'ombra della massificazione impedisce ogni scintilla di originalità, e dove l'anima, se esiste ancora, è imprigionata in una efficiente gabbia fatta di protocolli, regole e obbiettivi. Questa è la prospettiva inquietante verso cui ci spinge un'ossessione eccessiva per la meritocrazia standardizzata. Quando le competenze vengono ridotte a un insieme di caselle invalsi da spuntare, perdiamo di vista la ricchezza della diversità umana. Chi non si adatta a questo modello, chi
possiede talenti diversi da quelli richiesti, chi pensa fuori dagli schemi, rischia di essere emarginato in nome dell’efficienza collettiva. In questa società, gli individui sono prodotti di serie, plasmati per soddisfare le esigenze di un mercato insaziabile. L'educazione di massa, è diventata un mezzo per addomesticare le menti e piegarle alla volontà del potere.

Nel mondo algoritmico dell'iper-specializzazione, l’essere umano è perfettamente programmato per svolgere una sola funzione, con una precisione quasi maniacale. Ma qual è lo scopo di questo paradigma? Fare in modo che si perda la visione totale d'insieme. Ogni persona, confinata nel suo compartimento stagno, si ritrova incapace di connettere i punti tra le diverse discipline, e così, impotente, resta cieca di fronte ai pericoli che incombono. È qui che avviene il raggiro più subdolo: Individui trasformati in burattini, ignari di essere manipolati da un sistema che li usa e li getta a suo piacimento. Prigionieri di una struttura invisibile, continuano a muoversi come pedine, senza mai accorgersi del gioco in cui sono coinvolti, né del potere che potrebbero esercitare per ribellarsi.

Lo schiavo ideale è quello che non sa di esserlo, quello che si batte in difesa delle proprie catene contro eventuali liberatori che volessero tirarlo fuori dalla spelonca.”

Platone

Nel regno del capitalismo spietato, l’obsolescenza programmata non si ferma ai prodotti: anche le competenze umane ne sono vittime, fragili e temporanee come foglie d’autunno strappate via da venti impetuosi. Con una tecnologia in costante accelerazione, capita di non riuscire a stare al passo delle trasformazioni. Anni di studio e specializzazione si trasformano in una pressa a schiacciare coloro che, pur essendo maestri di mestieri ormai superati, non hanno più la forza o le risorse per adattarsi ad un mondo che si muove a velocità inarrestabile. Nuovi strumenti, nuove tecniche, nuove generazioni avanzano come un esercito inesorabile, cancellando il passato con la stessa indifferenza con cui si getta un vecchio dispositivo rotto. Il futuro non lascia spazio a chi non riesce a tenere il passo. Non è solo una sfida: è una condanna imposta da un sistema che consuma e rigetta, senza mai guardarsi indietro.

Riuscite a percepire qualche elemento familiare?


Un’altra domanda che dobbiamo porci è: Chi decide l’unità di misura del merito?

Sono sempre i padroni del vapore, che definiscono i criteri di valutazione in base ai propri interessi e alle mutevoli esigenze contestuali. In questo modo, creano un sistema che favorisce chi già parte avvantaggiato e marginalizza chi proviene da contesti meno fortunati.

Come?

Uno dei meccanismi più evidenti è quello dell'innalzamento costante dei crediti formativi pretesi per accedere al mondo del lavoro. Se un tempo una laurea triennale poteva essere considerata un titolo di accesso a molte professioni, oggi assistiamo a una proliferazione di master di primo e secondo livello, spesso richiesti come prerequisiti per posizioni anche di livello medio.

Perché l'asticella continua a salire?
A causa di una competizione sempre più feroce, alimentata dalla riduzione della domanda di manodopera. L’istruzione diffusa, la globalizzazione e le rivoluzioni tecnologiche, come l’intelligenza artificiale e l’automazione industriale, hanno senza dubbio migliorato le condizioni di lavoro. Ma dietro a questo progresso si cela un’ombra: disoccupazione e insicurezza crescenti. Mentre le grandi corporation accumulano profitti record grazie a una maggiore produzione a buon mercato, i lavoratori si trovano a lottare per pochi posti, precari e mal pagati.

Ciò che mi addolora è assistere a una rassegnazione dilagante: un tempo si sarebbe lottato contro lo sfruttamento, oggi ci si accontenta delle briciole, pur di non rimanere senza nulla. La lotta di classe è stata sostituita da una competizione solitaria, in cui ognuno è costretto a combattere contro gli altri, senza più un senso collettivo di resistenza.

Come ci si sente quando il mondo esterno, o soprattutto quello dei nostri affetti, nutre aspettative altissime nei nostri confronti?

La società, le famiglie e i media perpetuano il mito che un alto livello di istruzione sia garanzia di successo. Fin dall'infanzia, i ragazzi vengono spinti verso una corsa frenetica, un cammino di eccellenza scolastica e universitaria che non ammette pause o deviazioni. Ma a quale scotto?

Le scelte universitarie, un tempo guidate dalla curiosità e dalle passioni, oggi sembrano piegarsi alla promessa illusoria di un futuro lavorativo sicuro. Le discipline umanistiche, che un tempo alimentavano l'animo e il pensiero critico, vengono abbandonate a favore di specializzazioni tecniche ed ingegneristiche, trasformate in una sorta di mantra moderno. Ma questo cambio di rotta ha scavato un solco profondo tra le generazioni, un abisso che separa i giovani dalle radici che un tempo affondavano salde nel passato.

I mestieri artigianali, tramandati da padre in figlio attraverso gesti precisi e conoscenze antiche, stanno scomparendo lentamente, come le botteghe che un tempo pulsavano al centro delle comunità locali. Quei luoghi, che erano il cuore dell’economia e della cultura, stanno cedendo il passo alla fredda efficienza della tecnologia. E con loro, rischiamo di smarrire un intero patrimonio di saperi che si sono plasmati nel tempo, fatti di mani che lavorano con pazienza, di tecniche affinate dall’esperienza, di storie raccontate attraverso ogni strumento o oggetto creato. È un respiro millenario quello che stiamo perdendo, un battito che scandiva la vita e che ora si affievolisce, soffocato dall’ossessione per il progresso e la produttività.

Schiavi del debito:

In un mondo dove l'istruzione superiore è un lusso riservato a pochi, il sogno di un futuro migliore si scontra con la dura realtà di costi insostenibili. Le famiglie, strette nella morsa del desiderio di dare ai figli un’opportunità, sono costrette a rivolgersi alle banche, stipulando prestiti che gravano come catene invisibili. Già prima che lo studente varchi la soglia di un’aula universitaria, il suo futuro è ipotecato. Il debito si insinua come un'ombra, segnando ogni passo del cammino. I giovani, che si illudono di poter conquistare l’indipendenza e una vita dignitosa, si scoprono prigionieri di un sistema che li lega per anni, forse per decenni. Così, la libertà si trasforma in un miraggio, un lusso riservato a pochi eletti, mentre l’aspirazione a una vita migliore si dissolve in un incubo perpetuo di rate e interessi, un fardello che soffoca ogni possibilità di riscatto.

Giovani a rischio del burnout ?:

La pressione a eccellere diventa un fardello schiacciante. Il desiderio naturale di superare se stessi viene travolto da un obbligo invisibile, una corsa frenetica verso traguardi che sembrano sempre più lontani. In questo incessante inseguimento di risultati, la fatica si accumula silenziosa, e lo stress diventa un compagno inseparabile. Molti giovani, spinti oltre i propri limiti, vedono spezzarsi quella fragile linea tra dedizione e esaurimento. Il burnout non è più un rischio isolato, ma una condizione sempre più comune: i volti stanchi e gli occhi spenti raccontano di sogni infranti e corpi logorati. Anziché godere dei loro anni più vitali, si ritrovano intrappolati in una spirale di ansia e stanchezza, senza via di fuga. Il tempo, che un tempo prometteva esperienze e scoperte, diventa un nemico che consuma giorno dopo giorno la loro energia vitale.

È giunto il momento di svelare questa grande illusione:

Ciò che inizialmente sembrava un nobile tentativo di conciliare uguaglianza ed equità, premiando l’impegno e le capacità individuali, si è rapidamente trasformato in un dogma del neoliberismo. Il concetto di merito, stravolto e piegato a nuove logiche, è divenuto l’alibi perfetto per legittimare una selezione darwiniana dei più forti, condannando i più vulnerabili a restare indietro, ai margini della società.

Anche la politica, in particolare quella di sinistra, un tempo baluardo della difesa dei diritti sociali, ha abbandonato il suo ruolo di difensore degli ultimi, abbracciando invece l’idea che il successo sia esclusivamente il frutto del merito individuale e non delle circostanze sociali in cui ognuno nasce. Così, mentre si sferra un attacco incessante contro il lavoro pubblico, dipinto come inefficiente e vittima del clientelismo, le élite si sono riorganizzate, rafforzando il proprio dominio e consolidando il potere nelle proprie mani attraverso le privatizzazioni.

E se ancora non avete percepito l'inganno, è il momento di fermarsi a riflettere. Ci assicurano di voler "socializzare" i percorsi formativi per garantire l’equità, ma in concreto si fa ben poco per assicurare vere pari opportunità di accesso all’istruzione. Mentre si promuove l'idea di standardizzare le competenze per allinearle alle esigenze del mercato, non si fa nulla per affrontare la questione delle sproporzionate disuguaglianze salariali. È chiaro che una ridistribuzione sostanziale del sapere e del benessere significherebbe sfidare l'ordine stabilito, rompere il monopolio delle élite, e questo è un rischio troppo alto per chi ha costruito il proprio privilegio sulla disuguaglianza sistematica.

L’importanza del ruolo della scuola nei processi formativi:

Quella che un tempo era considerata un'istituzione di emancipazione sociale si è trasformata in una fabbrica anonima, dove gli studenti vengono selezionati e classificati secondo criteri rigidi e, spesso, profondamente iniqui. Il fine reale di questo metodo? Non certo promuovere il pensiero critico o coltivare le potenzialità di ogni individuo, ma piuttosto formare una nuova generazione di "meritevoli", addestrati a servire docilmente un sistema che li condiziona fin dai primi anni di vita. Questa selezione non premia il talento o l’originalità, ma la conformità. La scuola, quindi, ha abdicato la sua missione originaria di strumento di libertà attraverso la conoscenza, divenendo invece un mezzo per perpetuare le disparità e garantire che nulla, in fondo, possa mai davvero cambiare.

Anche la la Costituzione italiana, nel suo articolo 34, sembra favorire, in tal senso, una selezione arbitraria: La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”

Pensate invece ad un istituto in cui a tutti, senza distinzione o privilegio, venga concessa l’opportunità di elevarsi. In questo nuovo ordine, l'istruzione non sarà più un mero diritto formale, ma il pilastro su cui si erige l'emancipazione dell'individuo e della società. La scuola diventerà il luogo sacro in cui ogni essere umano potrà esprimere appieno il proprio potenziale, non più confinato dalle rigide valutazioni dei voti o dalle aspettative di prestazione.


Non più abbandonati al destino, gli individui riceveranno programmi di sostegno personalizzati, risorse per colmare le disparità, e un ambiente che nutre la crescita, anziché soffocarla. La scuola cesserà di essere un'arena di competizione spietata, le opportunità non saranno più vincolate dalle catene del contesto socio-economico, ma si apriranno a tutti coloro che desiderano imparare e progredire. E da questo nuovo terreno fertile sorgerà una generazione illuminata, consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità verso il bene comune, pronta a plasmare un futuro più giusto, più equo, più umano. Una generazione che non sarà più schiava dell'egoismo, ma portatrice di una nuova alba, in cui la sapienza e la solidarietà trionferanno. Non vi sarebbe più il veleno dell'esclusione, non più la divisione tra chi ha e chi è lasciato indietro. Al contrario, in questa condizione di appagamento, finalmente, sorgerebbe una verità immutabile: Una società che nutre il proprio potenziale, che riconosce il valore di ciascuno, è una società felice. E dove vi è felicità condivisa, fiorisce la pace, prospera l'armonia, e l'umanità si eleva, toccando vette finora impensabili.

Liberarsi dal giogo della meritocrazia significa passare da una visione individualistica a una collettiva, da un sistema che premia i pochi a un mondo in cui il valore di ognuno è riconosciuto e apprezzato. Una società più giusta, equa e solidale non ha bisogno di meritocrazia, ma di amore, rispetto e cooperazione.

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