17 febbraio 2025

AI Vs Realtà

 Dagli schermi alla vita vera: l'AI ci spinge a riscoprire il valore dell'umanità



Cari amici lettori,

oggi voglio portarvi in un viaggio un po' controverso, esplorando l’intelligenza artificiale (AI) da una prospettiva diversa. Lo so, appena sentiamo parlare di AI, la mente corre subito a scenari distopici alla Terminator, con robot ribelli e macchine che spodestano l’umanità, oppure a incubi più concreti, come un futuro in cui gli algoritmi ci sottraggono il lavoro e prendono il controllo delle nostre vite. 

Ma se vi dicessi che l'AI potrebbe essere, invece, il grimaldello per una rivoluzione culturale?

Sì, avete letto bene. So che può sembrare assurdo, soprattutto in un’epoca in cui la tecnologia ci ha spinto sempre più dentro mondi virtuali, allontanandoci dal contatto fisico e riducendo le interazioni umane a chat, videochiamate e messaggi vocali. 

Tuttavia, e se fosse proprio l'intelligenza artificiale a darci una scossa, a ricordarci il valore insostituibile dell’empatia, della creatività e dell'amore?

La storia ci insegna che ogni grande innovazione porta con sé paura e scetticismo. Quando il telegrafo ha ridotto le distanze, qualcuno temeva che avremmo perso l’arte della scrittura. Quando la fotografia è nata, si diceva che avrebbe ucciso la pittura. Ma il genio e l'ispirazione non si sono estinte: ha trasformato quegli strumenti in nuove opportunità.

L’AI e la robotica, se usate con consapevolezza, potrebbero liberarci dalle attività ripetitive, permettendoci di dedicare più tempo a ciò che ci rende davvero umani: la convivialità, la conoscenza, la cura del rapporto con gli altri e dell'ambiente. Pensateci: se un’intelligenza artificiale può redigere un report in pochi secondi, forse avremo più tempo per un confronto sincero, in presenza, senza il filtro dello schermo.

Come diceva Albert Einstein, "La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre." Forse è tempo di smettere di vedere l’AI solo come una minaccia e iniziare a considerarla per quello che potrebbe diventare: un trampolino verso una società più equilibrata, più consapevole e, perché no, tornare ad essere più reale.

Curiosi di scoprire come? Continuate a leggere, perché il futuro non è scritto, ma possiamo scegliere come crearlo.

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14 febbraio 2025

Il silenzio dei giovani.

 

Il Silenzio dei Giovani e la Fuga dei Cervelli: 
Un Paese Che Si Auto-Sabota.


Al giorno d’oggi, i giovani sembrano sempre più lontani dalla politica, quasi come se fosse un mondo a loro estraneo, distante e privo di significato. I numeri parlano chiaro: solo il 17% delle persone tra i 14 e i 29 anni si interessa regolarmente di politica (Osservatorio Censis – Ital Communications, La Repubblica, 09/02/2023). Un dato allarmante, che testimonia una disillusione profonda e radicata.

Ma perché questo menefreghismo? Perché i giovani, un tempo ribelli e promotori di cambiamento, oggi si sentono così esclusi e disinteressati? 😕

Non pretendo di avere una risposta, troppe variabili in gioco. Ma quello che sento nell’aria è un’ondata di sfiducia generale verso istituzioni e partiti, e a dirla tutta, non senza motivo. Troppe promesse mancate, troppi giochi di potere fine a sé stessi. La classe politica, appare più impegnata a conservare la poltrona, che a risolvere i reali problemi del Paese. Questo alimenta un senso di estraneità e apatia, spingendo i giovani non solo a evitare l’impegno diretto, ma anche a guardare con crescente scetticismo ogni forma di attivismo.
  • "Alla fine è tutto un magna-magna, tanto non cambia niente."
  • "In questa melma ci sono immerso, tanto vale galleggiare."
  • "Se il gioco è truccato, meglio fare il banco."
  • " Non conta giocare bene, conta stare in cima"
Tutte queste frasi sono lo specchio di una generazione che ha già seppellito il sogno dei grandi ideali, ridotti ormai a favole buone per i libri di scuola. Per molti giovani, il mondo non è altro che un’arena spietata dove o mangi o sei mangiato, e chi si aggrappa ancora all’etica è solo uno che non ha capito come funziona il gioco.

Ma attenzione: lo scollamento non è solo una questione di mancata partecipazione. È la spia di un malessere più profondo, legato alla percezione di un’Italia che offre poche prospettive. 

Sei studenti su dieci dichiarano di voler lasciare il Paese dopo il diploma in cerca di migliori opportunità lavorative, e il 17% ha già deciso di non fare mai ritorno (ricerca “Dopo il diploma” di Skuola.net ed Elis, Il Sole 24 Ore, 22/03/2023)

Un Paese che invecchia e si impoverisce:

Quando un giovane lascia il proprio Paese, non se ne va solo una persona: se ne va un investimento collettivo, anni di istruzione finanziata dallo Stato (cioè noi), e una ricchezza umana che andrà ad alimentare altre economie. È una perdita netta, una sconfitta dolorosa che, un'Italia divisa, da una parte sembra ignorare con incredibile leggerezza, dall'altra pare accettare con rassegnazione. La fuga dei cervelli non è solo un fenomeno migratorio: è il segnale di un sistema che penalizza il merito, che soffoca le ambizioni e che condanna le nuove generazioni a una precarietà infinita. Non si scappa solo per uno stipendio più alto, ma per la possibilità di essere valorizzati, per un ambiente che incentiva il talento invece di ostacolarlo con burocrazia e clientelismo.

L’OCSE, già nel 1997, distingueva tra “brain drain” (la fuga vera e propria), “brain exchange” (uno scambio equilibrato di capacità tra Paesi) e “brain waste” (lo spreco di competenze in lavori non adeguati alla formazione). L’Italia non solo soffre di un’emorragia costante, ma non riesce nemmeno a rientrare nel circuito virtuoso dello scambio di cervelli: il saldo è negativo, il talento se ne va e non torna.

Un diffuso sentimento di rassegnazione:

E qui torniamo alla politica, o meglio, alla sua assenza. La classe dirigente italiana ignora sistematicamente il problema, preferendo parlare di “mobilità” invece che di “fuga”. Un’ipocrisia che si traduce in numeri impietosi: per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Secondo uno studio 
presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi. “Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, ha spiegato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est.


A partire dagli anni ’90, l’emigrazione qualificata ha cominciato a erodere il capitale umano del Paese, colpendo in particolare il Nord, storicamente il motore economico dell’Italia.

Il risultato? Un Paese stanco, che perde capacità innovativa, che si condanna a un declino lento e inesorabile. La bilancia tecnologica dei pagamenti è in passivo, segno che l’Italia non solo esporta cervelli, ma poi deve riacquistare le conoscenze sviluppate all’estero dai propri stessi talenti. Una strategia suicida, che mette in ginocchio il futuro economico e sociale della nazione.

Un bivio esistenziale:
La questione non è più rinviabile. O l’Italia inverte la rotta, investendo seriamente in sviluppo, occupazione e salari adeguati oppure il declino sarà irreversibile. Servono politiche coraggiose, che premiano il valore e incentivano il rientro delle nostre brillanti menti, non misure ad minchiam e promesse vacue.

Troppo spesso sento criticare il comportamento giovanile, ma essi non sono indolenti, sono solo realisti. Hanno capito benissimo come funziona il gioco: chi nasce nel sistema è destinato a rimanerci intrappolato, a meno che non decida di diventare uno dei suoi ingranaggi. Ecco la verità: hanno visto che chi prova a cambiare le cose finisce solo per essere schiacciato, ignorato o cooptato dal potere. È più facile arrendersi all'idea che il sistema è troppo grande, troppo radicato per essere scalfito. Quindi, perché sprecarsi in lotte perse in partenza? Meglio sfruttare le proprie energie dove c'è qualcosa da guadagnare, anziché illudersi che una rivoluzione possa venire da un Paese che non sa nemmeno cosa voglia dire cambiare.
E se questo significa lasciare dietro sé famiglia, amici e tutto ciò che conoscono, poco importa. Preferiscono affrontare sacrifici, rischi e incertezze, piuttosto che restare intrappolati in una società che promuove la precarietà come norma. 

Possiamo biasimarli quando non gli abbiamo fornito strumenti e visioni alternative?  

La politica può continuare a fare finta di niente, ma la realtà non aspetta. O si cambia o si crepa. E l’Italia, oggi, non sta nemmeno morendo con dignità: sta marcendo a pezzi, soffocata dalla corruzione e dalla servitù volontaria ai padroni del mondo. Chi blatera di destino inevitabile dice solo stronzate.
Niente di ciò che l’uomo ha concepito è mai stato scritto nella pietra: è sempre e solo una questione di scelte. 
E spesso, di scelte di merda.

Non esitate a condividere le vostre storie e i vostri pensieri. Sarò felice di leggere i vostri commenti e di discuterne insieme.






11 febbraio 2025

Ipocrisia europea

 L’ipocrisia europea: 
distruggere per poi fingere di voler ricostruire.

Mario Draghi: 
“Propongo un cambiamento radicale”


Cari lettori, oggi voglio condividere con voi una riflessione sulle dichiarazioni di Mario Draghi alla High-Level Conference on the European Pillar of Social Rights (Bruxelles, 16 aprile 2024). 
Il testo integrale del suo intervento è disponibile al link qui sotto: 


Vi invito a leggere e a lasciare la vostra opinione nei commenti.

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Per anni, l’Europa ha seguito con cieca determinazione una strategia autodistruttiva: "Abbiamo deliberatamente perseguito una strategia basata sul tentativo di ridurre i costi salariali l’uno rispetto all’altro, in aggiunta a una politica fiscale prociclica, con l’unico risultato di indebolire la nostra stessa domanda interna e minare il nostro modello sociale." Mario Draghi.

Il risultato? Un’industria sfibrata, delocalizzata, un modello sociale eroso e una dipendenza crescente dalle grandi potenze globali. Tutto questo non è stato un errore né una svista, ma un piano deliberato.
📢 Come ci hanno ridotti così?

08 febbraio 2025

Il futuro che ci aspetta

 

Il Futuro che ci aspetta è stato deciso nel 2016 ?



Viviamo in un’epoca di cambiamenti rapidi e trasformazioni radicali. Mentre il progresso tecnologico avanza a passi da gigante, emergono scenari che fino a poco tempo fa sembravano appartenere solo alla fantascienza.

Ma dove ci sta portando questa evoluzione?

Chi decide il nostro futuro?

Il Forum Economico Mondiale (WEF) ha delineato una visione del mondo per il vicino 2030 che solleva interrogativi cruciali: niente proprietà privata, niente privacy, tutto come servizio, reddito di base garantito e un sistema di credito sociale per controllare i cittadini.

Siamo davvero disposti a rinunciare alla libertà individuale in nome della sicurezza e della sostenibilità? O dietro queste promesse si nasconde un sistema di controllo globale?

Nel seguente articolo, pubblicato dal Mises Institute, viene analizzata questa prospettiva in modo critico, mettendo in discussione il futuro che potrebbe attenderci. Voi cosa ne pensate? Siete favorevoli o contrari a questa visione? Lasciate il vostro commento e discutiamone insieme!

Fonte: https://mises.org/mises-wire/no-privacy-no-property-world-2030-according-wef