05 gennaio 2025

Una Follia da Ricordare



Cinque Anni dopo il COVID-19: 
Una Follia da Ricordare

Chi di voi, leggendo o ascoltando certe notizie, ha mai sentito un fastidioso brivido lungo la schiena? Un allarme che attiva quella vocina diffidente che sibila: “Aspetta un attimo, qui c’è puzza di fregatura!”.

Quante volte, navigando nel mercenario mondo dell’informazione mainstream, avete notato come essa sia capace di adottare due facce, due morali, due bilance, in funzione degli interessi di turno?Prendiamo ad esempio la narrazione sui conflitti internazionali: un bombardamento è sempre da condannare, giusto? - No! Dipende da chi sgancia l’ordigno. Se è una potenza “amica”, l’azione diventa un “intervento chirurgico” “un’azione necessaria per la pace”. Ma se il dito sul grilletto appartiene a un “paese nemico”? Ecco servito il menù della vergogna: “aggressione brutale”, “crimini contro l’umanità”. Stesso sangue, stessa devastazione, ma raccontata con una retorica ben diversa, a seconda della bandiera.

E poi c’è la comunicazione asimmetrica che somiglia tanto a un pilota automatico. La “crisi climatica”, per citarne una. Quando le città vengono tragicamente sommerse dalle acque, è per via dell’azione antropica che ha sconvolto gli equilibri di madre natura: “Troppa anidride carbonica!”, dicono, bisogna “ridurre le emissioni di CO2 portandole a zero” (povere piante). Perché di quella città alluvionata nessuno racconta le responsabilità concrete? La cementificazione selvaggia che impermeabilizza i terreni; la mancata manutenzione del territorio; l’urbanizzazione sregolata che cancella boschi e canali naturali?

Ascolta la storia ecologista: “Tu, sì proprio tu! Usa meno plastica, e occhio all’impronta ambientale che lasci”, quasi ti vien voglia di controllare sotto le scarpe per vedere se hai pestato qualcosa di sgradevole. Certo che siamo preoccupati per la salute del nostro pianeta, ma che dire delle petroliere che riversano tonnellate di greggio in mare e fumi tossici nell’aria? In barba alla raccolta differenziata, esiste un continente di immondizia che galleggia nell’Oceano Pacifico,
il Great Pacific Garbage Patch ma si fa silenzio sul commercio alimentare trasformato in un self-service di pacchetti e vassoi plastici, sterili e scintillanti. Perché, diciamocelo, basterebbe assumere qualche dipendente e riportare il servizio al banco, con il cibo incartato nella vecchia, gloriosa carta gialla. Risolto il problema delle confezioni usa e getta e pure quello della disoccupazione.

Invece NO!, meglio far leva sui sensi di colpa e farti pagare il costo della transizione ecologica, mentre si tollerarono le azioni dei grandi colossi industriali che, nel nome del profitto, soffocano il pianeta con emissioni fuori controllo e attività che depauperano intere regioni alla ricerca spasmodica di risorse.

Alla fine, la responsabilità è sempre tua, della tua casa inefficiente e della tua vecchia e puzzolente Panda a benzina.

Una voce sola, una direzione sola. Due pesi, due misure. Tanto rumore per nulla.


Queste riflessioni vi suonano familiari? Si?

Vi propongo, allora, di intraprendere insieme un percorso: un esercizio di analisi critica e riflessione su uno degli eventi più controversi e globalmente impattanti degli ultimi anni: la “pandemia” da SARS-CoV-2. Non si tratta di un’indagine giudicante o definitiva sui fatti, un compito che, mentre sto scrivendo queste righe, è stato affidato a una commissione parlamentare d’inchiesta, ma piuttosto di un allenamento mentale. Lo scopo? Esplorare i retroscena della comunicazione di massa, comprendere quei meccanismi raffinati e spesso invisibili che hanno il potere di orientare il nostro pensiero, influenzando percezioni, paure e reazioni collettive.

Analizzeremo non solo come le informazioni siano state presentate, con quali toni, con narrazioni e ripetizioni martellanti, ma anche cosa sia stato omesso, quali voci siano state marginalizzate e come il linguaggio stesso abbia plasmato le nostre emozioni, tra allarmi e rassicurazioni. Sarà un viaggio tra simboli, parole chiave e strategie comunicative che, di fatto, hanno costruito una “realtà condivisa”, senza necessariamente passare attraverso il filtro della riflessione individuale. Perché saper riconoscere gli strumenti con cui il nostro pensiero viene indirizzato è la chiave per riprenderci quello spazio critico che, oggi più che mai, sembra smarrito.

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